mercoledì 25 febbraio 2015

IT'S OTTOLENGHI TIME! TORTA ALL'AGLIO CARAMELLATO




Oggi, sullo Starbook, si conclude la rassegna di ricette tratte da  Plenty More, di quel gran genio della cucina che è Yotam Ottolenghi. E quale migliore occasione per rispolverare la torta salata più buona del mondo?
(la risposta vera è che le torte salate più buone del mondo non hanno bisogno di occasioni buone per essere condivise. Ma passatemene una, ogni tanto...:-)

maggio 2010

Me li lasciate togliere due sassolini dalla scarpa, già di primo mattino? Così, tanto per non perdere il vizio di farmi dei nemici...

Il primo, è per tutti quelli che si definiscono "gourmand", ma poi arretrano terrorizzati davanti ad uno spicchio d'aglio, neanche fossero discendenti di streghe, vampiri o tutte quelle creature che si tenevano lontane mettendo corone intrecciate di questa pianta che, a mio parere, sta ai singoli piatti come una goccia di Chanel n. 5 a Marilyn Monroe. Lungi da me invitare all'abuso o anche solo ad abbondarne: il suo gusto è così pungente che finirebbe per coprire tutto il resto. Ma è innegabile che ne basti un tocco, esattamente come un buon profumo, per rendere indimenticabile un'insalata di pomodori freschi, o una bruschetta con l'olio nuovo o le acciughe di tuo papà, che dal mare vanno dritte in salamoia e da lì nel tuo piatto. Da quando poi ho scoperto la bontà dell'aglio cotto, mi sento come una convertita sulla via di Damasco: le porche figure più porche di tutti sono infatti affidate a creme all'aglio, gelati al chupito, salsette di ogni genere, tutte accomunate da un sapore delicatissimo, che fa strabuzzare gli occhi a chi mi chiede che cosa sia.


Il secondo, è per quegli autori di libri di cucina che son convinti che basti scrivere l'elenco degli ingredienti ed il procedimento a seguire, per aver assolto al loro dovere. E' una tendenza che andava molto di moda nei decenni scorsi, assieme al diffondersi di una cucina rapida, che esaltava surgelati, scatolette, dadi da brodo e denigrava, per contro, la nostra grande tradizione culinaria, inclusi i grandi autori del settore, da Pellegrino Artusi ad Ada Boni. Oggi, qualcuno che sta cercando di invertire la tendenza c'è e prima o poi ne parleremo anche qui: ma purtroppo sono ancora troppi i manuali che zoppicano, lanciando in avanti il piede della grafica, dello styling, della fotografia e lasciando arrancare quello del testo.

E' una scelta che non mi spiego (o meglio: me la spiego, eccome- ma la dose di nemici di oggi me la sono già giocata), anche perchè basterebbe davvero poco per rendere più avvincente una ricetta. Lo sanno bene i nuovi autori britannici che da tempo hanno imparato a corredare le foto dei loro piatti con una prosa mai asettica, sempre personale, capace di coinvolgere il lettore e di entrare nel merito delle varie proposte, spiegandone nei dettagli tutti i passaggi. Esattamente come fa Ottolenghi, la cui prosa ha il pregio di trasformarci, da lettori impassibili e forse un po' scettici, a fan scatenati e forse un po' hooligan :-) delle sue ricette. Se non ci credete, leggete più sotto- e poi ne riparliamo. 


Le Note Mie in fondo


CARAMELIZED GARLIC TART
da Y. Ottolenghi, Plenty

"Penso che sia la ricetta più buona del mondo!" ha scritto Caroline, dopo aver provato questa ricetta per me. Che cos'altro posso aggiungere?


per 8 persone
375 g di pasta sfoglia tutta burro
gli spicchi di tre teste d'aglio di media grandezza, separati l'uno dall'altro e ben sbucciati
1 cucchaio di olio d'oliva
1 cucchiaino di aceto balsamico
220 ml di acqua
3/4 di cucchiaio di zucchero fine (tipo Zefiro)
1 cucchiaino di rosmarino, tritato grossolanamente
1 cucchiaino di timo, tritato grossolanamente, più qualche rametto per decorare
120 g di caprino, fresco e cremoso
120 g di caprino stagionato
2 uova di galline allevate a terra
100 ml di panna*
100 ml di crème fraiche
sale e pepe nero


Tenete a portata di mano uno stampo dal fondo amovibile e dal bordo basso, scanalato, del diametro di 28 cm. Ritagliare dalla sfoglia un disco di pasta che ricopra il fondo e i bordi dello stampo e ne fuoriesca un po'. Rivestire con questo disco la tortiera, sistemare sul fondo della pasta un foglio di carta da forno, cospargerlo di fagioli secchi e lasciar riposare in frigo per almeno 20 minuti.

Preriscaldare il forno a 180 gradi. Infornare lo stampo e procedere ad una cottura in bianco per 20 minuti. Dopodichè, rimuovere i fagioli e la carta da forno e far cuocere ancora per altri 5-10 minuti o fino a quando la sfoglia è dorata. Mettere da parte e lasciare il forno acceso. 

Mentre la base della torta sta cuocendo nel forno, far caramellare l'aglio. 
Mettere gli spicchi in un casseruolino e coprire con abbondante acqua. Portare a bollore, sbianchire per 3 minuti e sciacquare bene. Asciugare il casseruolino, rimettervi gli spicchi d'aglio e aggiungere l'olio d'oliva: far soffriggere l'aglio a fiamma alta per due minuti. Aggiungere l'aceto balsamico e l'acqua e portare a bollore e poi lasciar sobbollire piano per 10 minuti. Aggiungere lo zucchero, il rosmarino, il timo e la punta di un cucchiaino di sale. Far sobbollire ancora per 10 minuti, a fiamma media, o fino a quando la maggior parte del liquido sarà evaporata e gli spicchi d'aglio saranno ricoperti dallo scuro sciroppo di caramello. Mettere da parte. 

Per preparare la torta, rompere i due tipi di caprino e sparpagliarli sul fondo del guscio di sfoglia. Con l'aiuto di un cucchiaio, sistemati gli spicchi d'aglio caramellato sopra il formaggio, in modo uniforme. 

In una terrina, mescolate la panna, la crème fraiche, il mascarpone, mezzo cucchiaino di sale e un po' di pepe nero. Versate questa crema sopra il ripieno della torta, in modo da riempire gli spazi vuoti, assicurandovi che in superficie si possano ancora vedere gli spicchi d'aglio e il formaggio. 

Abbassate la temperatura del forno a 160 gradi, infornate e fate cuocere per 30-45 minuti o fino a quando il ripieno si sarà rassodato e la superficie sarà dorata. Togliere dal forno e lasciar raffreddare un pochino. Dopodichè, sformare la torta, rifilarne i bordi, se è il caso, cospargerla con rametti di timo e servire tiepida (è buona anche riscaldata) con una insalata croccante. 

Note mie


partiamo dagli ingredienti, come al solito:
  • la panna indicata è la double cream, che da noi non è in vendita. Potete sostituirla con il mascarpone della LIDL (che sa di poco :-)), magari allungato con un po' di panna fresca. Oppure, usare solo la panna. 
  • Non utilizzate lo yogurt greco, perchè la nota acida è già data dalla crème fraiche: questa ormai si trova un po' dappertutto- di sicuro all'Esselunga, per i beati che ce l'hanno.Nel caso non troviate neanche quello, usate 200 ml di mascarpone, reso un po' più fluido con l'aggiunta di due cucchiai di panna liquida fresca e un po' più acido con due gocce di limone.
  • Confesso di essermi stupita, quando ho letto "pasta sfoglia", perchè su due piedi avrei visto meglio una brisèe o comunque un guscio friabile. Mai fu commesso errore più grande, perchè uno dei pregi di questa torta è proprio il fatto che ti si scioglie in bocca. Se non osate con la sfoglia fatta in casa, procuratevene una di buona qualità
  • Ho usato l'aglio nuovo, che secondo me si presta meglio a questa preparazione, sia per il gusto più fresco, sia per i tempi di sbianchitura: bastano davvero tre minuti, per avere spicchi morbidissimi. 
  • Per quanto riguarda il caprino, ho scelto un caprino fresco ed uno più stagionato, con la crosta. Ogni regione ha le sue specialità, chiedete al vostro formaggiaio e vi saprà consigliare per il meglio
per quanto attiene al procedimento, l'unica variante è stata la cottura, nel senso che ho ridotto sensibilmente i tempi della cottura in bianco: 10 minuti in tutto sono stati più che sufficienti, anche perchè ho usato una teglia di 20 cm di diametro. Mezz'ora, invece, ci è voluta tutta, per la cottura del ripieno. Tuttavia, sono certa che questi tempi siano indicati per un forno statico: di solito, le torte salate le cuocio a modalità ventilata, per cui ci sta che me la sia sbrigata in minor tempo.
Per il resto, invece ho seguito quasi alla lettera e vi assicuro che ho fatto anche in fretta: caramellare l'aglio comporta si e no 10 minuti, inclusa la sbianchitura- e questo si fa mentre la sfoglia cuoce in bianco. Il ripieno è pronto in meno di due minuti- e il resto, è puro godimento...

giovedì 19 febbraio 2015

UNA TIRA L'ALTRA... LE JAFFA CAKES!


Ai tempi del Catechismo per la prima Comunione, ero finita fuori dall'aula per aver risposto che dai tre figli di Noè erano nate le seguenti discendenze: da Sem, i Semiti, da Cam i Camiti e da Jafet le arance (e i pompelmi). 
Fosse ora, qualcuno avrebbe riso. 
Ai tempi, ero rimasta lì da sola, a stramaledire la mia educazione nella terra di mezzo, per cui le arance di papà erano le Tarocco e quelle della mamma le Sevilla, mentre le Jaffa mettevano tutti d'accordo, non troppo amare, non troppo rosse, non troppo succose- e forse neanche troppo buone, visto che poi sparirono dalle nostre tavole e chissà per quanto tempo non le avrei più ricordate se, giusto poche sere fa, non mi fossi imbattuta nella solita pessima traduzione dall'inglese all'italiano, in cui l'incauta traduttrice fa mangiare alla protagonista "una merendina della Jaffa"
"Ma son le Jaffa cakes!" - ho pensato. 
E il resto, è qui...



dicesi Jaffa cake quella roba tossica venduta in due versioni (all'arancia, quella antica e allafragola, quella moderna) sugli scaffali della LIDL, al reparto "Dà dipendenza"- e se qualcuno di voi ha mai ceduto all'impulso di metterne una scatola nel carrello, sa di che cosa sto parlando. 
sono tortine di pan di spagna, nappate con uno strato di marmellata (all'arancia, quella antica, alla fragola, quella moderna) e poi giù cioccolato, come se piovesse, inventate sul finire degli anni Venti dal signor Mc Vities e destinate ad avere enorme successo nel Regno Unito. 
Da noi, sono arrivate ma non spopolano- ed è un peccato, perchè oltre ad essere ottime, sono anche da porca figura: facilissime da preparare, perfette per essere regalate o per accompagnare un té o un caffé di un certo tono. 
Una ricetta codificata non esiste, ma se fate questa avrete un prodotto pressoché identico a quello che si compra, con la non lieve differenza che voi sapete che cosa ci avete messo- e quindi, potete computare con maniacale esattezza quante calorie ingurgitate ad ogni morso. 
A questo proposito: è con infinito rammarico che vi annuncio che non c'è traccia di burro, in questa ricetta. solo uova, zucchero e farina nella base, frutta e cioccolato fondente nella copertura. 
d'altronde, siamo o non siamo entrati in quaresima? :-)



Per 16 jaffa cakes

2 uova fresche, medie, a temperatura ambiente
50 g di farina debole, setacciata
50 g di zucchero semolato

75 g di marmellata di arance
75 g di marmellata di fragole

250 g di cioccolato fondente al 70% di cacao


La base è un Pan di Spagna: sbattete le uova in un'ampia terrina, con le fruste elettriche, prima da sole, poi con lo zucchero. calcolate almeno 10 minuti, nel corso dei quali all'inizio sembrerà che non succeda niente, perchè la quantità di zucchero è poca. Ma non disperate, perchè nel giro di una decina di minuti avrete una massa ariosa e ferma. Controllate che il colore sia giallo pallido, quasi bianco e che il composto "scriva", cioè lasci delle tracce, se fatto colare da un cucchiaio sulla superficie.
Aggiungete la farina setacciandola un'altra volta, direttamente sul composto:incorporatela piano piano, con un cucchiaio,mescolando dall'alto verso il basso
Per la cotturausate uno stampo da cupcakes (diametro 4 cm, altezza 2 cm) oppure da muffins, con l'avvertenza, in questo caso, di riempirlo per un terzo, al massimo. 
Sarebbe meglio rivestire il fondo con dei dischetti di carta da forno, per poter sformare le tortine senza intoppi. Io ho usato uno stampo in silicone da cupcakes e non ci sono stati problemi di sorta. 
infornate a 180°C, modalità statica, per dieci minuti. 
Aprite il forno dopo questo tempo e controllate la cottura: se sono dorate in superficie e compatte al tatto, ci siamo. 
Sfornate, lasciate raffreddare qualche minuto, poi sformate e fate raffreddare del tutto. 

Nel frattempo, sciogliete le marmellate, in due casseruolini, a fiamma bassa e mescolando sempre. Adagiatene un cucchiaio sulla superficie delle tortine, uno per ciascuna:alla fine, dovrete ottenere 8 tortine all'arancia e 8 alla fragola. 
Lasciate di nuovo raffreddare. 

Sciogliete il cioccolato a bagnomaria e poi colatelo con un cucchiaio sulle tortine
Per non sporcare la cucina, fate così: rivestite la leccarda del forno con due fogli di alluminio, posizionatevi sopra una griglia (io ho usato quella del microonde, visto che tutti i miei attrezzi sono impacchettati nelle more del trasloco) e sistemate su di essa le tortine. Poi colate il cioccolato fuso, cercando di rivestire bene la loro superficie: raccogliete subito quello che cade sulla stagnola e spalmatelo sulle Jaffa cakes, fino ad averle ricoperte tutte. 



Lasciate indurire il cioccolato a temperatura ambiente, senza preoccuparvi di ripulire:quando il cioccolato si sarà solidificato, staccate delicatamente le tortine dalla griglia, sistematele su un vassoio, eliminate i fogli di alluminio con i residui di cioccolato e mettete su il caffé, che è la miglior scusa per poter assaggiare subito queste delizie. 

Dopodiché, liberatevene al più presto: io le ho mandate alla riunione delle volontarie del museo, che è un'altra cosa molto British che fa mia madre. Sono state graditissime, han pure chiesto se le vendevo (ve l'ho detto, no', che sono British?)e, quel che più conta, sono riuscita a mangiarne solo sei. 
E non fatemi pensare a quelle due che si stan sentendo sole, di là in cucina...

lunedì 16 febbraio 2015

A GRANDE RICHIESTA... LA STUPENDISSIMA!



"Stupendissima" è una voce che nel vocabolario della lingua italiana non c'è- perchè non tutti gli aggettivi hanno il grado superlativo e "stupendo" è fra questi. 
E' però una voce che Google conosce- e ancor meglio la conosceva qualche anno fa, quando questa torta spopolò sul web, in maniera dilagante ma del tutto inattesa. 
Correva l'anno 2009, scrivevo su un forum di cucina e mi ero innamorata di un libro, Kitchen, una raccolta di ricette della rivista Marie Claire, con foto alla Donna Hay e spiegazioni un po' traballanti, ma che all'epoca mi tenevano incollata alle pagine, neanche si fosse trattato delle cinquanta sfumature del catalogo ikea o dei nuovi arrivi alla voce "teglie".
Per farvela breve, era tutto un provare ricette, compresa anche questa torta, al limone e cocco, come vi racconto più sotto, nel post che in origine l'accompagnava. E siccome già al primo assaggio aveva praticamente steso tutti i volontari, avevo anche pensato di condividerla sul forum di cui sopra, chiamandola Stupendissima, in risposta ad una discussione sulle manchevolezze di alcune forumiste in materia di lingua italiana. 
Piccola premessa: devo parte della mia conoscenza culinaria a signore sgrammaticate e generosissime, che mi hanno messo a parte dei loro segreti e delle loro ricette, con una passione e un entusiasmo e una bravura che ho disperatamente cercato, senza trovarla, nelle cucine di chef laureati. Ragion per cui, anche se sono una vecchia prof di italiano, non è a queste persone che chiedo una conoscenza scrupolosa della nostra lingua, così come non la chiedo ai calciatori o ai meccanici o a quanti fanno un lavoro che non la prevede, come requisito essenziale:  ovvio che mi infastidiscono i congiuntivi sbagliati, ma a un centravanti che mi stende con la consecutio temporis e non segna un gol continuerò sempre a preferire uno che parla come un troglodita, ma al momento buono, la mette dentro.
All'epoca, mi chiamavo raravis, ma van pelt si nasce. e visto che le maestrine mi infastidiscono oltremisura, la mia risposta era stata tutta nel nuovo nome di battesimo dato a questa torta che, sul momento, passò inosservata. 
Ci volle questa signora qui (ma guarda un po'...) che un giorno riportò in auge la ricetta, magnificandola con tutti gli aggettivi ad hoc della lingua italiana- e pure usati in modo corretto: e da allora, per qualche tempo, "Stupendissima" entrò di diritto nel vocabolario internettiano, con buona pace dei censori e degli accademici della Crusca. 
Le mie informazioni si fermano qui. Da quel momento in poi, infatti, ho avuto un po' da fare e non son stata dietro alle sorti di questa torta: ogni tanto, qualcuno mi scrive ancora adesso per ringraziarmi per la porca figura e, anche se i miei meriti sono davvero risibili, incasso con soddisfazione, perchè so quanto piacere faccia rendere felici i propri commensali. 
A casa mia, la si prepara, anche in una versione mandorlata, detta la Stupenderrima, per la legge della par condicio, che per un colpo inflitto alla lingua italiana ne infligge uno anche a quella latina: è inedita, su questi schermi e ve la prometto, per le prossime volte.
Per ora, beccatevi l'originale, introduzione compresa. 
E poi, sappiatemi dire...



Fra le innumerevoli piacevolezze archiviate sotto la voce "gioie della maternità", noi ci godiamo da qualche anno l'avversione della creatura per la cucina in generale- e quella di sua madre, in particolare. A scanso di equivoci, la disgraziata mangia e anche in modo abbastanza giusto: rispetta gli orari dei pasti, non beve bibite gasate, si tiene a cauta distanza dalle merendine e negli anni ha capito che, quando gli alimenti si accoppiano è perché gli altri vivano felici e contenti e non perché perdano ore a separare accuratamente la carne dalla passata di pomodoro e la cipolla dai chicchi di riso. Se poi, nel giro dei prossimi dieci anni, dovessimo mai riuscire a farle capire che ingoiare della roba verde, ogni tanto, non la trasforma automaticamente in una specie di hulk con l'apparecchio ortodontico, ma la rende più sana e più bella, potremmo quasi cantare vittoria.
Anche sul fronte pratico, la ragazza avrebbe dei numeri: le performance ai fornelli si contano a malapena sulle dita di una mano e sono costate ogni volta lacrime e suppliche da parte della sottoscritta, ma i risultati hanno avuto un che di sbalorditivo. "ho preso dalla nonna", ha commentato ogni volta, fra il travaso di orgoglio di mia madre e le ghignate al mio indirizzo del marito.
Il problema, come divevo, riguarda la cucina materna: nel senso che, per mia figlia, o io non cucino mai ( giuro: lo sostiene impavida di fronte a testimoni) oppure cucino cose che non le piacciono. Su questo fronte, mi è toccato sopportare di tutto: dall'asssitere alla richiesta di una terza fetta di torta Cameo, alla festa di compleanno dell'amica inglese, al sentirle dire, come esempio di proporzione inversa, " più la mamma cucina, meno noi mangiamo" ( questa ha fatto il giro di Genova, anzi: se nel frattempo avesse assunto i contorni di una leggenda metropolitana, tranquilli, è tutto vero ed è successo qui, in questa casa, sotto i miei occhi).
Ultimamente, però, la cosa ha assunto un nuovo risvolto, manco a dirlo ancora più imbarazzante, non foss'altro perché pubblico ed indecoroso- e cioè l'abuffata in grande stile dei dolci che preparo per gli amici e che il galateo vorrebbe che si lasciassero nelle loro case e non che finissero negli stomaci di chi li porta in dono. Ogni volta, è un tormento: sguardi languidi lanciati all'ultima fetta, braccia tese con il piatto vuoto, sgomitate per arrivare prima e, come ciliegina finale, un lamentoso " per me, queste cose così buone la mamma non le fa mai" che ha il potere di intenerire anche il più goloso ed affamato dei nostri amici. Ovviamente, io vorrei sprofondare, dalla vergogna: ma a nulla valgono i calci sotto il tavolo, le minacce velate dal tovagliolo, le promesse "che giuro che quando siamo a casa te ne faccio dieci, di 'ste robe qui" : se ha deciso che il dolce le piace, non c'è nulla, ma proprio nulla, che possa fermarla. Anzi, ogni volta è un'escalation verso ulteriori brutte figure: ora, per esempio, siamo arrivati al doggy bag, per cui non solo mangiamo fino a scoppiare, ma ci facciamo preparare anche il pacchettino per la colazione del giorno dopo, con me che sempre più debolmente cerco di oppormi e gli amici sopraffatti dai sensi di colpa, per togliere il cibo di bocca a 'sta povera ragazzina, trascurata dalla mamma.
E così, domenica sera siamo rincasati a notte fonda, con il nostro pacchettino di stagnola nelle mani. E lunedì mattina, accanto ai resti della sera prima, sul tavolo della colazione c'era la replica della stessa torta, solo più fragrante e più profumata, come conviene alle torte appena uscite dal forno. Solo che stavolta era rotonda. E, come ben sanno tutti i grandi esperti di cucina, se c'è una cosa che influisce sul sapore è la forma dello stampo. E le torte quadrate, si sa, sono più buone delle altre. Motivo per cui, gli avanzi sono stati spazzolati in un battibaleno e la replicante ce l'ho ancora semi intatta sul bancone della cucina. Però, almeno stavolta, un commosso "grazie mamma" me lo sono beccato- e , di questi tempi, è meglio che niente....


TARTE AL LIMONE E AL COCCO

la fonte è Kitchen, Marie Claire, ma ho apportato tante e tali di quelle modifiche che ormai l'originale è solo un ricordo

per uno stampo da crostata, meglio se col fondo amovibile, del diametro di 24 cm

pasta frolla, da preparare con la ricetta che preferite

per il ripieno:
180 g di burro a temperatura ambiente
200 g di zucchero
4 uova intere, grandi
la scorza grattugiata di un limone non trattato
90 g di cocco grattugiato
uno yogurt alla vaniglia

con le fruste elettriche, montate il burro a crema, prima da solo, poi con lo zucchero, facendolo diventare bianco e spumoso; unite poi le uova, uno alla volta, sempre montando. Aggiungete poi la scorza di limone,(anche il succo,se volete un gusto piu' persistente) e lo yogurt e amalgamateli al resto degli ingredienti con un cucchiaio di legno: in ultimo, unite la farina di cocco e incorporatela al ripieno.

Per evitare che il composto si separi
1. usate il burro a temepratura ambiente (20-22 gradi al massimo)
2. se lo montate in planetaria, usate la frusta a foglia, altrimenti, vanno bene le fruste elettriche, ma a bassa velocità, perché lo surriscaldano troppo
3. montatelo prima da solo, poi aggiungete lo zucchero (per qualche pasticcere, meglio se a velo)
4. come faccio io (ma non è scritto da nessuna parte): anziché montare il burro da solo, lo stempero con il cucchiaio di legno e lo sbatto bene con quello. Poi aggiungo lo zucchero e passo alle fruste: in questo modo, contengo i rischi di surriscaldamento del burro.

La ricetta originale prevede di rivestire lo stampo con la frolla, di versare il ripieno nel guscio e di mettere in forno.
Io, invece, faccio così

1. prima, imburro e infarino bene lo stampo
2. stendo la frolla
3. la metto in frigo, per tutto il tempo necessario alla preparazione della crema (ma potete tenerla anche di più)
4. faccio una cottura in bianco di 10 minuti, ossia: stendo sul fondo della frolla un foglio di carta da forno, lo copro con fagioli secchi, lo inforno a 180°C, modalità statica, per 10 minuti. Poi spengo, sforno, lascio intiepidire per pochi minuti, elimino fagioli e carta forno, verso il ripieno e inforno, sempre a 180°C per trenta minuti circa.
La superficie deve essere appena brunita, come quella che vedete nella foto.
Non preoccupatevi se, appena fuori dal forno, il ripieno sarà molliccio e tremolante, perché rassoda a contatto con l'aria.

Lasciate raffreddare completamente, poi sformate con delicatezza sul piano da portata e spolverate con zucchero a velo, come se non ci fosse un domani.

domenica 8 febbraio 2015

VELLUTATA DI TOPINAMBUR E PERE CON CANEDERLI AI FUNGHI ED ERBA CIPOLLINA


E oggi, torno a casa. 
Stanotte, per la precisione- che poi da voi è il primo pomeriggio e da me chissà che ore saranno, visto che i voli attraversano i fusi orari di mezzo mondo e tanto vale regolare l'orologio alla fine, subito dopo aver baciato terra. 
Anche il "torno a casa" non è che sia poi così chiaro. 
La mia casa, ora, dovrebbe essere anche questa qui e, se proprio devo dirla tutta, sento molto di più questa, di Singapore,  come il posto dove tornare, che quella stiva di cose che diventerà l'appartamento di Genova. 
Traslocare è come andare dal dentista, ma peggio: sai di doverlo fare- e non è mai il momento buono per farlo. Meno che mai questa volta, che non si era pronti, né materialmente, né soprattutto, psicologicamente: lascio troppi ricordi, nella mia casa, da cui non ero ancora pronta a staccarmi, lascio il quartiere dove ho praticamente abitato per più di trent'anni, lascio i miei negozi, le mie abitudini, il rientro col pilota automatico, perché da qualsiasi parte si torni, è sempre lì che si deve andare.
L'unico aspetto positivo è che trasloco sabato prossimo. 
Se sopravvivo, intendo.
Qui lascio una casa a metà, un marito dolorante (si è tirato sul piede il carrello della spesa, rigorosamente strapieno) un caldo sempre più caldo e la consapevolezza di non aver ancora visto niente. 
E lascio anche una ricetta di canederli, visto che il mese scorso se ne è parlato tanto e che una delle prime brutte figure che ho fatto, in terra straniera, è stato esultare davanti a un banco di zenzero blu, al grido di "evviva, hanno pure i topinambur"...
Ai prossimi giorni, 
ciao 
ale


sabato 7 febbraio 2015

#shelfie2: ALESSIA GAZZOLA: UNA LUNGA ESTATE CRUDELE




Lo so da me: sarò la prima e probabilmente anche l'unica, a stroncare questo libro- il quinto romanzo di un'autrice per altro molto apprezzata dalla sottoscritta- a maggior ragione ora che la Rai ha annunciato la prossima serie televisiva e si alzerà unanime il coro di lodi, anche dai critici della prima ora.
Ma tanto ho difeso a spada tratta questa giovane scrittrice, fra i giallisti nudi e puri, quanto stavolta sono lì col pollice verso, su un altro romanzo fresco fresco di stampa che, more solito, ha scavalcato la fila dei libri sul comodino, reclamando quel posto in prima fila che da sempre riservo agli autori che amo.
Alessia Gazzola è fra questi- e non perchè sia l'erede della Cornwell (baggianata galattica, alla quale non crede più nessuno), ma perchè sarebbe potuta essere l'erede della Sophie Kinsella dei tempi migliori: prosa briosa, frizzante, di una che ha letto migliaia di libri, prima di decidersi a versare una sola riga di inchiostro, lavorando su un talento innato e su una altrettanto innata autoironia che hanno reso il personaggio di Alice Allevi, l'eroina imbranata dei suoi romanzi, una delle figure meglio centrate della narrativa italiana di questi ultimi anni.
Che il giallo viri al rosa, non è una novità: ma quella che per i puristi del genere è una gravissima colpa, per la sottoscritta- per la quale anche una giallista di assoluto spessore come la Mignon G. Eberhart era roba da picco glicemico, già alla scuola elementare- non è un problema. Sono anni che ci spacciano per "gialli" delle emerite schifezzee, tanto vale godersi un buona scrittura, quando te ne capita una.
E la Gazzola, sia detto, ha sempre scritto bene.
Anzi, benissimo. 
Perché solo chi scrive benissimo può rendere godibili situazioni e personaggi come i suoi, sempre al limite dell'inverosimile- le prime- o della caricatura- le seconde- senza mai perdere di credibilità e questo solo in nome di una padronanza sicura delle tecniche della narrazione e della scrittura tutta. Non a caso, si ride, nel leggere le peripezie di questa giovane anatomopatologa e il registro comico, si sa, è sempre a rischio di autogol clamorosi, se non si è più che bravi e attenti a non perdere il ritmo del racconto:basta un passo falso, per far crollare tutto

Stavolta, la Gazzola il passo falso lo fa.
Non tanto dal punto di vista del plot che, per molti versi, regge meglio dei precedenti, quanto proprio dal punto di vista della narrazione, cheè priva di quello smalto a cui l'autrice ci aveva abituato. E allora, ecco che le situazioni diventano impossibili, i personaggi stereotipati, le new entries solo abbozzate e quindi inutili e, quel che è peggio, quella che prima era una lettura piacevole, si trasforma in una occupazione fastidiosa. Si arriva alla fine, per carità, ed anche senza troppo sbuffare, ma il retrogusto è quello melenso e dolciastro di un Harmony.
Scritto meglio degli altri, ovviamente.
Ma sempre Harmony resta.
Lasciatelo lì. 

venerdì 6 febbraio 2015

#Shelfie1: Alan Bennett- Gente



Allan Bennett, Gente
"Non esiste un luogo non visitabile. Questo, almeno, ci ha insegnato l'Olocausto".

Prendetela come va presa- e cioè come un paragone che, al pari di tutti i paragoni, ha il vizio di zoppicare. Ma se mai dovessi indicare, nella galleria degli autori contemporanei, quello che presenta più analogie con Oscar Wilde, non esiterei a puntare il dito verso Bennett: e non per lo stile di vita, considerato il basso profilo di quest'ultimo, quanto per quello sguardo impietoso, al limite della ferocia, con cui entrambi osservarono le magagne della loro società, raccontandole con uno stile asciutto, mai retorico, anzi semmai pungente ed ironico che ha fatto la fortuna di entrambi. 
Già, perché anche Bennett, in Inghilterra, è un monumento nazionale- e a ragione: a dispetto della sua proverbiale riservatezza, infatti, non c'è momento della storia degli ultimi cinquant'anni del Regno Unito che non sia stato sottolineato dal suo acume e dal potere dissacrante della sua penna- e questo sin dai primissimi anni Sessanta, quando, assieme a Peter Cook, Jonathan Miller e Dudley Moore, mise in scena Beyond the Fringe, una satira teatrale che molti oggi considerano il vero apripista della Swingin' London, più di quanto non lo siano stati i Beatles, poco tempo dopo. 
Da allora, non c'è costume- o meglio: malcostume- che possa sfuggire alla critica di questo grande commediografo che più centra il bersaglio, più è amato dal pubblico che detti vizi spesso incarna. E, forse per questo, tutto è concesso, a questo neanche più tanto enfant terrible della letteratura inglese, anche di scegliere come protagonista di una sua opera nientemeno che Elisabetta II e di riuscire a farla impersonare sulla scena, alla fine degli anni Ottanta, per la prima volta nella storia. 
D'altro canto, Bennett ripaga il suo pubblico senza mai sbagliare un colpo: e quest'ultima sua fatica, Gente, uscita l'altro ieri nell'edizione italiana di Adelphi che, da anni, cura tutte le sue pubblicazioni qui da noi, ne costituisce l'ennesima conferma. 
Anzi: come recita la terza di copertina, l'ultimo Bennett è ancora più esplicito, più feroce e più comico di quanto sia mai stato: e anche se di solito mi lamento, delle iperboli degli editori, stavolta non solo concordo, ma rilancio: di tutte le opere di questo autore, edite nel nostro Paese, Gente è la più graffiante, la più esilarante, la più bella. 

La commedia verte sul futuro di una storica dimora inglese, su cui gravano tasse di successione che gli eredi non possono pagare. Nella fattispecie, si tratta di due sorelle non più giovani, l'una, Dorothy, ex indossatrice, star delle passerelle degli anni Cinquanta, l'altra, June, rampante femminista che ha dato la scalata alla gerarchia eccelsiastica, di fresca nomina ad Arcidiacono. Costei è ben decisa a donare la casa al Trust ed è proprio su questo altro monumento nazionale britannico che si appuntano gli accenti più feroci della critica di Bennett. Dorothy, che incarna, in pelliccia e ciabatte, lo stereotipo del nobile decaduto che né sa né vuole rinunciare al proprio blasone, è fermamente contraria a tale donazione, che riempirebbe la sua casa di "gente", la stessa verso la quale il referente del Trust sembra invece averel'unica considerazione- perchè è la "gente" che porta denaro ed è alla "gente" che bisogna uniformarsi. La casa va donata con tutto quello che c'è dentro, compresi i vasi da notte con i resti della pipì dei personaggi famosi che lì la facevano, per non dover interrompere la partita di biliardo, perchè questo è ciò che vuole il pubblico. Ad interrompere le riflessioni sul da farsi - un susseguirsi di battute esilaranti- l'incontro con una vecchia fiamma di Dorothy, ora ridotto a fare da trovarobe per la produzione di un film pornografico: la location è adatta (ci son pure i letti a baldacchino), l'offerta economica è allettante, l'affare è fatto. 

Altro non vi dico, se non che si ride, a libro aperto, e si riflette, e tanto, a libro chiuso.
Tanto che, a dispetto della brevità del testo e della sua apparente leggerezza, il primo desiderio è quello di rileggerlo, questa volta senza farsi trascinare dalla curiosità del come andrà a finire, per soffermarsi sulla apparente levità di certe battute che, invece, son portatrici di significati ben più pesanti. L'accusa contro la svolta del Thatcherismo è scoperta, ma le occasioni per riflettere, in senso più ampio, sono molteplici, da "ma tu credi in Dio?/Noi siamo la Chiesa di inghilterra, non è richiesto" a "ogni cosa aveva un prezzo. Se non aveva un prezzo, non aveva valore", passando per l'aforisma con cui si apre questo primo "shelfie" dell'anno che,da solo, vale tutto il libro. 
Da comodino

Alan Bennett
Gente
Traduzione di Mariagrazia Gini
2015, pp. 127
12 euro in libreria
(sul sito della casa editrice, col 25% di sconto)

martedì 3 febbraio 2015

FORREST GUMP TARTE



Messaggio a mondi unificati
Da oggi, fino al 16 febbraio, in mio quadro astrale entra nel segno dei pianeti che traslocano: tutto uno spostamento di galassie, che si traduce, nella vita dell'old fashioned aquariana, in una sorta di Epic Moving, metà del quale si è svolto ieri ed ha riguardato il trasferimento, nelle borse della sottoscritta, di tutte le cazzate più inutili che si possono trovare a Singapore, con la scusa che devo mettere su casa. 
Qui, i pezzi forti della collezione





Stamattina, prendiamo ufficialmente possesso dell'appartamento.
Con la cerimonia ufficiale della consegna delle chiavi.
Che vi racconto domani, un po' perchè non so ancora cosa mi attende, un po' perchè non ho il tempo materiale per scrivere mezza riga di più.
Mi faccio perdonare con la più porca di tutte le torte, che non si se vi sia sfuggita per distrazione o per omissione volontaria.
Nel primo caso, mi tolgo dai piedi l'intralcio della buona azione quotidiana.
Nel secondo... ditemelo voi.
Io, c'ho da impacchettare il mondo :-)


 FORREST GUMP TARTE


L'idea non  è mia (azzardo Trish Deseine, ma se sbaglio mi corriggggerete), ma la realizzazione sì, anche perchè è una delle solite "non ricette", di quelle che partono dalla categoria "svuota dispensa" e si ritrovano dritte dritte in quella del "porno food". La memoria non è il mio forte, nell'"epic moving" di questi giorni, ma mi pare di ricordare che la  base fosse un'altra, più cioccolatosa, e lo stesso l'interno. Ma siccome io avevo fretta,  l'ho trasformata nell'apoteosi della proca figura: un guscio di frolla e una (buona) ganache al cioccolato.
Tenete anche a portata di mano del buon brandy, per rianimare gli ospiti.
Prima e dopo l'assaggio

per la frolla

300 g di farina debole
200 g di burro freddo
100 g di zucchero semolato
1 uovo medio, intero
facoltativo: i semi di mezzo baccello di vaniglia

per il ripieno
400 g di cioccolato fondente, di qualità commovente,ancor più che ottima
400 ml di panna fresca, liquida
140 g di burro (*)

* prima di tagliarvi le vene, leggete sotto

per la farcitura
cioccolatini assortiti


Preparate la frolla
La frolla è il mio solito 3-2-1, ma nulla vi vieta di utilizzare la ricetta che  preferite.
La cottura è in bianco, a 180°C modalità statica.
Stendete un foglio di carta da forno sulla torta, ricopritelo con fagioli secchi o con "fagioli" di ceramica e fate cuocere così per 20 minuti: poi aprite il forno, eliminate carta e fagioli e proseguite la cottura, per altri 5 minuti. Non fatela dorare, perchè deveessere friabile e morbida.

per la ganache al cioccolato
premessa: dopo anni di ganache fatta col metodo tradizionale (ossia, spezzetto il cioccolato e verso sopra la panna calda, mescolo et voilà, il cioccolato si scioglie e si addensa in una crema lucida e vellutata- a tutti, tranne che a me) sono tornata al metodo per deficienti ("l'ho trovato nella Larousse des dessert, sia, quella curata da Pierrermè" è la versione ufficiale e guai a voi se non vi ci attenete). 
Quindi, se siete nell'Olimpo degli eletti, fate come gli eletti: spezzettate il cioccolato in un recipiente, meglio se più alto che largo, poi versatevi la panna bollente e mescolate con pazienza. 
Se siete gente da bassifondi, come la sottoscritta, ecco qua

Fate fondere il cioccolato a bagnomaria, badando a che l'acqua non tocchi mai il fondo della casseruola dove lo avete spezzettato. 
Nel frattempo, in un'altra casseruola, portate la panna ad ebollizione: non fatela bollire, ma appena bolle, versatela in tre tempi sulla ganache

Nota: il cioccolato impiega più tempo a sciogliersi a bagnomaria, di quanto ne sia richiesto alla panna, per giungere ad ebollizione. Il mio consiglio è quello di aspettare che  il cioccolato inizi a fondere, prima di mettere la panna sul fuoco. 

Come dicevo, versate la panna in tre tempi, sul cioccolato fuso. 
L'operazione deve essere fatta piuttosto velocemente, perchè la panna non deve raffreddarsi: però, prima di versare la parte successiva, dovete avere amalgamato la precedente al cioccolato. 
Usate una spatola, meglio se di silicone, che vi permette anche di recuperareletracce di cioccolato attorno alla casseruola: mescolate velocemente, ma con delicatezza: sentirete che la massa cambia consistenza, diventando più densa e più compatta, e la vedrete cambiare aspetto, assumendo un colore lucido e brillante. 

A questo punto, i francesi fanno riposare 10 minuti e poi aggiungono il burro: a pezzettini, a temperatura ambiente, poco alla volta, mescolando bene. Poi coprono con pellicola trasparente e mettono in frigo a riassestarsi, per minimo 15 minuti. 

Ora. 
Vabbè che quelle, per contratto, non ingrassano. 
Ma colesterolo, trigliceridi, pressioni arteriose, accidenti secchi ogni volta che le vediamo, quelli, mai visti?
E comunque. 
Senza burro, vien lo stesso. 
Un po' meno goduriosa, se proprio vogliamo dirla tutta.. ma direi che nell'insieme, una torta del genere, qualche "distrazione" su questo fronte può permettersela.

Quindi, butyro omisso
- fateraffreddare la ganache a temepratura ambiente, per 10 minuti
- versatela nel guscio di frolla, perfettamente raffreddato
- mettete tutto in frigo, per due ore
- dopodichè, decorate coi cioccolatini interi e lasciate in frigo, fino a mezz'ora prma di servire.


A presto!
ale