lunedì 19 agosto 2013

Stephen King- 22/11/63



Fra le date che restano scritte nella storia, il 22 novembre 1963 è di sicuro quella che ha dato vita a più interrogativi, più ipotesi, più teorie: l'assassino del Presidente Kennedy, freddato proprio quel giorno da tre colpi di fucile, sparati da Lee Harvey Oswald, è infatti uno di quegli eventi su cui gravano più dubbi che certezze, tanto che ogni qualvolta qualcuno decide di ritornare sull'argomento, con un libro, un film o un'inchiesta, l'interesse si riaccende, oggi come allora, a dispetto del mezzo secolo trascorso nel frattempo.

Fra i romanzieri contemporanei, quello che suscita più aspettative, più attese, più curiosità è, senza dubbio, Stephen King: i fans si mobilitano, la critica fibrilla, gli editori sanno che, qualsiasi cosa accada, in quel giorno, sarà dell'ultimo romanzo della penna più sorprendente del Maine che si dovrà parlare- e tanto basti, per tutti.

Unite i due fenomeni e potrete quindi avere un'idea dell'atmosfera che ha accolto l'ultima fatica letteraria dello scrittore, intitolata appunto 22/11/63 e dedicata, almeno in apparenza, all'assassinio di John Kennedy: tutti, ne hanno parlato.
Solo che io non me ne sono accorta.
Mi ci son volute delle giustificazioni, belle grosse, per farmi riprendere dal colpo: perchè la scrivente, checché se ne potesse pensare prima di questa rivelazione, adora Stephen King. Più il primo che l'ultimo, ad essere precisi, cosa che presumo accomuni quelli intorno ai miei anni, che sono riusciti nella mission impossible di nascondere It sotto ai Promessi Sposi, di litigarsi l'unico volume di Insomnia in viaggio di nozze, di pagare tre volte l'ingresso al cinema dove proiettavano Shining e non essere mai riuscita a vederlo tutto per intero e di farsi strappare dalle mani- prima e unica volta nella vita- "Misery non deve morire", "e finchè non riprendi colore, figlia mia, 'sto libro te lo nascondo".
Tuttavia, il mio amore incondizionato per Stephen King non nasce dalla produzione horror, ma da un racconto delicato, gentile, intimista, capace di toccare ogni corda della commozione, fino a far male: le mie amiche si raddolcivano sulle foto dei fidanzati, che tiravano fuori dalle pagine dei diari, io incollavo ogni anno sull'agenda l'incipit di Stand by me, per sentirmi viva, ogni volta che la leggevo, e fiduciosa nella vita e nel futuro: perchè se nel mondo c'era un essere umano in grado di risvegliare, con la scrittura, tutti i sensi dei suoi lettori, anche quelli più sopiti e più nascosti, non tutto era perduto. Almeno, non ancora.

Ho citato Stand by me perchè un'eco delle note di questo racconto l'ho ritrovata, perdendomi nelle pagine di 22/11/63. Che è un romanzo che sfugge a qualsiasi etichetta, non essendo nè completamente un romanzo storico, nè completamente un'opera di fantascienza, nè completamente un thriller, nè completamente nulla di qualsiasi altro genere letterario evochi la sua lettura. La trama ricalca il topos del viaggio nel tempo, tipico della Fantascienza classica: il "rabbit hole", la buca del coniglio, che riporta il protagonista alle 11.58 del 9 settembre del 1958, ripropone in termini più eccitanti la teoria del wormhole di Lorentz e si riallaccia ad un filone stra collaudato di letteratura del genere. Solo che King lo fa allaking- o meglio: torna a farlo alla King, confezionando un'opera di tutto rispetto, che avvince dalla prima all'ultima pagina.

Ma andiamo con ordine. Jack Epping è un professore di letteratura, divorziato da una moglie ex alcolista (lui la aiuta nella disintossicazione e lei, per ringraziarlo, si mette con un tizio conosciuto nell'Anonima alcolisti, accusando il marito di insensibilità) che consuma i suoi pasti più o meno solitari, nel locale di Al Templeton, evitato dal resto della comunità perchè troppo economico rispetto alla concorrenza. Un giorno, Al convoca Jack con urgenza, svelandogli di essere in punto di morte e assegnandogli una missione: quella di cambiare il corso della storia, sventando l'assassinio del presidente Kennedy. Questo è possibile grazie ad un passaggio, nascosto nella cantina del locale, che riporta sempre al 9 settembre del 1958. quando si ritorna nel presente, sono passati appena due minuti, qualsiasi sia il periodo trascorso nel passato: ma gli effetti di quello che è stato modificato nel passato, permangono fino ai giorni nostri, con sviluppi tutti diversi, come bene sa Al, che ha sventato un incidente di caccia, permettendo ad una ragazzina destinata a vivere per sempre su una sedia a rotelle di muoversi e camminare fino alla fine dei suoi giorni. Tuttavia, ogni volta che si attraversa la bica del coniglio, tutto viene azzerato e se si desidera modificare il corso del destino, sarà necessario intervenire di nuovo. Il barista ha trascorso nel passato molti anni, ben deciso ad evitare la morte di Kennedy, raccogliendo un dossier di informazioni che consegna a Jack: purtroppo, la malattia contratta in questo periodo gli ha impedito di portare a termine questo compito, che affida quindi a Jack, come sua ultima volontà. Dopo molte titubanze (e due giri di prova, il primo solo esplorativo, il secondo legato ad una missione personale), il protagonista accetta definitivamente- e la storia prende il largo.
L'interrogativo dominante, quindi, il binario lungo il quale dovrebbe snodarsi tutta la storia è quello efficacemtne sintetizzato in quel "se fosse possibile cambiare la storia, tu lo faresti?" che dalla quarta di copertina dice "comprami" al lettore. In realtà, il romanzo è molto di più: un gigantesco affresco dell'America degli anni Cinquanta, anzitutto, in special modo della vita della provincia, nella quale i germi della rivoluzione del decennio successivo sono ancora soffocati da rigurgiti del Maccartismo e dai dettami di un moralismo che, per quanto sempre più di facciata, resta ancora la legge che domina, in quella società. A mano a mano che Jack si cala in questo nuovo ambiente, riscoprendo se stesso e ritrovando la gioia di vivere nell'insegnamento, negli affetti, nell'amore, è come se la storia si sdoppiasse, ramificandosi in tanti rivoli, con la Missione tutta maiuscola che a mano a mano si avvicina, e molte altre, meno importanti sul piano della Storia ma altrettanto determinanti nella vita dei singoli personaggi, che si succedono una via l'altra, assicurando quella tensione narrativa che, in un romanzo così lungo, potrebbe facilmente venir meno.
Alla fine, gli unici a restare insoddisfatti sono quelli che si aspettavano una storia sull'assassino di Kennedy che, invece, risulta essere l'argomento più sbiadito, forse anche più noioso dell'intera impalcatura. Nella post fazione, l'autore sostiene di aver speso anni nella lettura di decine di libri sul tema- e non c'è ragione di non credergli. Ma, di fatto, alll'interno del romanzo la vicenda perde ogni profondità e si riduce ad essere un mero espediente per l'avvio e lo sviluppo dell'intera storia. Peccato? anche no, mi verrebbe da rispondere: perchè l'intento del libro non era un'indagine, nè una denuncia e male han fatto, a mio parere, i critici che si sono soffermati solo sulle aspettative del titolo.
22/11/1963, infatti, è mlto di più di un'analisi di quello che accadde quel giorno: è un romanzo avvincente, calibrato, ben scritto, le cui pagine ora inteneriscono, ora atterriscono, ora commuovono, ora mozzano il fiato. Più che dell'assassinio di Kennedy, la data del romanzo segna il ritorno di King a quella scrittura a cui ci aveva disabituato, nelle sue ultime prove, mitigata da una voglia di tenerezza che è il vero leit motif del racconto, dalla prima all'ultima pagina.

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