sabato 13 ottobre 2012

Topless Oblige

Julian Followes, Snob





La rece vera e propria è più sotto. Qui, ci son solo due ricordi personali, tratti dal "libro della mia vita"- quello che non ho mai scritto e mai scriverò. Ma ogni tanto, qualcosa mi scappa...


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Aneddoto familiare n. 1

Qualche anno fa, in occasione di un breve viaggio a Venezia, avevamo soggiornato come ospiti paganti in una villa veneta. Ci aveva indirizzati lì un'amica comune e fummo accolti con grande familiarità, tant'è che ci vennero anche presentati i pro nipoti, coetanei di mia figlia, invitando i bambini a giocare insieme. La dimora che ci ospitava era il classico edificio storico gravato da spese inenarrabili, rese ancor più insostenibili dal fatto che nessun membro della famiglia avesse un impiego retribuito. E così, accanto ad opere d'arte di valore inestimabile, c'erano dispenser di sapone pieni d'acqua insaponata; nel cestino del pane della colazione, di manifattura rinascimentale, stazionavano gli avanzi della sera prima; e alle estremità delle decine di bracci dei giganteschi lampadari che adornavano i soffitti, esalavano una tremula luce solo tre o quattro lampadine a basso consumo energetico. Una vita di relazioni trasversali mi aveva abituato a questa coabitazione, per cui non ci avevo fatto troppo caso: non così mia figlia, che si trovava allora per la prima volta a contatto con un ambiente fino ad allora mai frequentato. Tant'è che la sera, alla nostra domanda su come avesse trascorso il pomeriggio con i suoi ospiti, lei aveva risposto, dubbiosa, che anche se avevano la sua età, erano "strani". 
"Non sono 'strani', Carola- le avevo detto- sono solo nobili".
Ed ero partita con una lezione sulle classi sociali, spiegandole che oggi certe differenze non si sentono più, ma che ancora esistono ed è per questo che ci sono bambini che pportano nomi antichissimi e che vivono in case che per noi sono musei e che studiano la storia sulle pareti dei loro saloni, mentre noi la studiamo sui libri. 
La creatura aveva ascoltato, attenta, tutte le mie parole, e alla fine aveva concluso, seria: "ho capito, mamma. Loro sono nobili- e noi siamo ricchi"

Aneddoto familiare n.2

L'amica nobile (e ricca, lei sì,  per davvero) dona parte degli archivi di famiglia ad un ente pubblico e mi invita alla cerimonia di consegna. A pranzo, capito in una tavola tutta blasonata e oltre a scoprire che esiste un'altra geografia, fatta di ducati, contee e principati, vengo introdotta all'iniziazione all'ingresso in società dei giovani rampolli, che prevedono corsi di ballo a Parigi, tenuti dalla ex principessa russa, bis bisbisnipote dello zar, battute di caccia alla volpe ed altre amenità del genere. Tempo cinque minuti mi ambiento e dopo un po' vengo assorbita nelle conversazioni, al punto che la mia vicina mi confida che anche lei ha un figlio di 4 anni, la stessa età della mia (di allora). 
"Potremmo presentarli, cosa le pare?"
"Molto volentieri", deglutisco io
"Quante lingue parla, sua figlia?"
"Mah... sa... a quattro anni... è bilingue", mi salvo in corner, graziata da una bisnonna che le parla solo in genovese e un nonno che non è da meno.
"Ah". Moto di disappunto, di chi se ne aspettava almeno tre e tutte fluenti. "E cosa fa?"
... come, cosa fa? a quattro anni, cosa fa? cioè, mi chiedo: cosa fa, una bambina di quattro anni? gioca, no?  e così, mi industrio e annaspo " mah... nuota (e faccio finta di non vederla nei 3 cm di profondità della piscina comunale, circondata da paperelle e palline galleggianti), scia (e di nuovo, chiudo gli occhi sull'abbonamento giornaliero dimenticato sotto mucchietti di neve, che non voio sciare, voio fale il pupazzo), balla (questo, almeno, è vero. Pure il valzer di Strauss, che a casa nostra per tradizione familiare è la musica del ballo di Cenerentola)..."
Il disappunto si è impadronito del volto della mia commensale
" e poi?"
Mi arrendo
"E poi, basta: ha quattro anni"
Sopracciglia inarcate, labbra tese, respiro profondo - e poi: 
"il mio, imbalsama"
Mi strozzo col consommè
"come ha detto, scusi"
"Imbalsama- me lo ripete, sillabando, bontà sua- "Im-bal-sa-ma. Gli uccelli morti, che trova nei viali della tenuta. e' la tradizione di famiglia, e lui la persegue sin d'ora. Dice che sua figlia potrebbe trovarlo di suo gradimento?"


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Lo sapevate voi che Julian Fellowes è lo sceneggiatore di Downtown Abbey e, qualche tempo prima, pure di Gosford Park, che a lui fruttò un Oscar e a me una lite memorabile con il non ancora marito, colpevole di essersi annoiato di fronte ad un film che per me era l'equivalente di un giardino di delizie e per lui un concentrato di bromuro?
Io no. 
Tant'è che quando ho comprato questo libro, l'ho fatto solo perchè convinta a)dal titolo; b)dalla casa editrice; c) e dalle promesse dei risvolti di copertina, che preannunciavano una satira pungente della high class britannica, scritta con una penna impietosa e graffiante. L'ho letto di un fiato e mi sono pure divertita, tanto da inaugurare la catena del prestito ai cari amici vicini, a consigliarne la lettura ai lontani e a pensare di parlarne anche qui sopra, prima o poi. 

Partiamo dalla trama, che è leggera e divertente: Edith Lavery  è la figlia di un revisore di conti e di una mamma che deve la sua formazione a Point de Vue, Sunday People e Araldica Oggi e che, al pari di tutte le mamme di questo mondo, desidera vedere la figlia sistemata, meglio se sotto un velo di tulle lungo 15 metri che copre metà della passiera di Westminster Abbey e un blasone nuovo di trinca come regalo di nozze della suocera. Da brava figlia, Edith fa di tutto per far felice sua madre e ci riesce alla grande, facendo capitolare nientemeno che lo scapolo d'oro più ambito dal parterre delle nobili fanciulle da marito, figlio di una inossidabile rappresentante della vecchia guardia di una classe sociale lasciata a combattere da sola contro chi attenta alla sua essitenza- vale a dire gli esattori delle tasse e i parvenu. Edith ce la fa, dicevamo, ma una volta assurta al ruolo di contessa- toh che strano- non riesce a reggerne lo stile di vita. Evidentemente, nella libreria della mamma mancavano le biografie di Lady D. e forse sarebbe stato meglio un ripassino veloce delle interviste della principessa sul bel caratterino dei suoceri e sul nitrito di Camilla, con tanto di ferma-immagine sullo sguardo perso nel vuoto e il "dammi una lametta che mi taglio le vene" in sottofondo. Ma Edith non è Diana Spencer e suo marito ha in comune con Charles solo il nome: tant'è che è lei a lasciarlo, per l'attore belloccio e altrettanto ambizioso, abile a succhiare popolarità dallo scandalo e palesemente infastidito dall'amore che lei prova per lui. Lascerà anche questo, constatato che l'orario continuato dalle 9 alle 5, con pausa pranzo spesa nel supermercato di fianco all'ufficio non è quella che fa per lei, riuscendo nella mission impossible di riconquistare il marito, sgominando la corazzata Potemkin della suocera e delle sue amiche, prossima sposa prescelta inclusa. Da lì in poi, Edith sarà la moglie aristocratica perfetta, con tutti i requisiti adatti per entrare di diritto nella galleria dei ritratti di famiglia, nel vestibolo: cani, cavalli, magione avita e pure il figlio illegittimo, a coronare uno stile di vita consolidato e intramontabile. 

Fin qui la trama- che però è ingannevole: perchè ad essere protagonisti di questa storia non sono nè Edith, nè Charles nè la voce narrante, l'amico di famiglia del conte di Broughton che però sceglie la via del palcoscenico, anzichè quella della campagna inglese, bensì l'intera classe sociale a cui il titolo del romanzo si ispira: gli Snob sono Edith e il suo entourage, ma a campeggiare sulla scena sono quelli che la nobilitas ce l'hanno- e pure nel profondo delle ossa. Fellowes li sceneggia, ancor prima che descriverli, con un acume a cui nulla sfugge, dagli odiosi nomignoli alle parche mense, dalle stanze fredde alle tubature gelate, da privilegi di casta gelosamente custoditi- e non c'è passare de tempo che tenga. E tuttavia, Fellowes non li condanna: ce li racconta, ce li rappresenta, non ci nasconde nessuna delle loro magagne, ma senza mai affondare la lama del coltello fino in fondo. Per chi lo ha paragonato a Jane Austen (e sono in tanti, ad averlo fatto) questo è un difetto, pure imperdonabile. Ma per me, che della Austen vedo poco o niente, a parte l'analogia dell'ambientazione sociale, è quasi un pregio. Come dire, non vogliamo troppo male a questi nobili che, per quanto deprecati e bistrattati, hanno dimostrato di saper resistere a tutto e di saperlo fare con lo stile che da smpre li ha contraddistinti e che, nel caso della nobiltà britannica, si tinge di misura, intelligenza e sense of humor. 
Piuttosto, là dove la penna di Fellowes è intinta in un inchiostro più velenoso, è nella resa dell'ambiente televisivo: è un particolare che è stranamente sfuggito ai recensori del romanzo, ma è proprio nei ritratti degli attori, nel mettere a nudo una mediocrità che si pasce di scandali e di opportunità da sfruttare e un egotismo inversamente proporzionale al talento che Fellowes spara a zero: lo fa con la solita sagacia, ma con un minore distacco, probabile spia di un coinvolgimento maggiore, che spezza la punta alle sue frecce, con qualche colossale "cilecca". 
Recensori più attenti di me hanno anche notato alcuni grossolani errori di tipo narratologico: la storia è raccontata in prima persona- focus interno, per quelli che se ne intendono- e quindi non si spiegano certe descrizioni, riferite ad episodi avvenuti lontano dagli occhi del narratore, ma che lui invece racconta con dovizia di particolari, come se fosse stato presente. 
Quisquilie, se posso permettermi. Esattamente come il paragone con la Austen, con Waugh, con Woodhouse e con altri immensi fustigatori di epoche e di costumi. Followes non è nulla di tutto questo, ma non per questo è autore da trascurare, anzi: il messaggio di Snob- vale a dire, che nobili si nasce- è forte e chiaro e mai così attuale, all'indomani dello scandalo da tabloid dell'ultimo scivolone della Casa Reale britannica, ad opera di una deliziosa parvenu che non ha resistito a togliersi il pezzo di sopra del bikini davanti ai raggi del sole della Provenza, dimenticando di essere l'erede al trono d'Inghilterra.
Come dire, Jane Austen lasciamola dov'è. E i reggiseni, anche.