mercoledì 31 marzo 2010

torta budino al cioccolato

torta budino al cioccolato


... Ma quando finisce, l'adolescenza???
No, perchè qui siamo ad un mese dai quindici anni e io non ne posso già più. E sono brutta, e sono mal vestita, e non sono popolare, e non ho il ragazzo, e qualsiasi altra voce vi possa venire in mente, perchè noi non ci facciamo mancare nulla, ma proprio nulla.
Questo fine settimana è stato funestato dal taglio di capelli. Va da sè che questo fine settimana era quello in cui il marito tornava per ripartire il lunedì, quindi ci sarebbe dovuta essere una relativa tranquillità, in casa, che poi si sarebbe dovuta trasformare in una calma olimpica dopo l'infausto pareggio del Genoa.
E invece no: abbiamo cominciato sabato sera, con due brufoli due, che a suo dire, venivano esaltati dai capelli che non le stavano più a posto. Preciso che mia figlia li porta sempre tutti raccolti e con la fronte scoperta, ma tant'è, stavolta era colpa loro.
" domani ti porto dal parrucchiere" è stata la formula magica che ha tamponato le lacrime e così, la domenica ci siamo fiondate nel salone più trendy di Genova per fare 'sto benedetto tagli scalato. Che, ovviamente, non le piaceva.
"Ok, va bene, torniamo indietro e lo facciamo aggiustare"
Detto, fatto- e lì è iniziata la domenica di traggggedia, con me che facevo sparire tutti gli specchi e lei che si disperava, pensando ad una vita da reclusa fino al momento della ricrescita.
E quindi, ieri, altro taglio di capelli: e meno male che stavolta si piace, perchè col prossimo saremmo stati in puro stile marines.
Superfluo dire che, in tutto questo frangente, il marito non solo non mi aiuta per niente, ma fa di tutto per peggiorare la situazione. Dopo essersi macchiato della grave colpa di non aver notato il nuovo taglio e di averle detto che per lui era tutto uguale a prima, è riuscito a mandare in frantumi ogni tentativo di ricostruzione del morale della creatura, messo in atto da me. E così, quando la consolavo, dicendole che i brufoli (sempre i soliti due) sarebbero passati, mentre a lei sarebbero sempre rimasti quei bellissimi occhi e quel bellissimo naso e quella bellissima bocca, dal fondo dello studio è arrivato, implacabile un "... e quel bellissimo carattere", che ha sancito il de profundis di ogni mia speranza.
vi prego, se qualcuno lo sa, me lo dice quanto dura????
TORTA BUDINO AL CACAO
Dopo il fango del mississipi, qualcosa di più morbido: una torta al cioccolato che la la caratteristica di separarsi in strati, mentre cuoce, formando una sorta di budino denso, al di sotto. Ho trascritto integralmente la ricetta, presa da un vecchio libro della Newton Comtpon (365 modi di preparare le torte- Luigi e Olga Tarentini Troiani), ma la prossima volta provo a mettere metà acqua e metà latte nel liquido che va versato sopra. Inutile dire che è una sorpresae che, se avete bambini o ragazzini per casa, li fare tutti felici.

torta budino

per 6 persone
70 g di cacao amaro
120 g di farina
1 cucchiaio di lievito in polvere
2 uova grandi
220 g di zucchero
6 cucchiai di burro fiso
1/8 di litro di latte
1 bustina di vanillina*
60 g di noci tritate
170 g di zucchero di canna
un pizzico di sale
panna montata per accompagnare
* io non la uso mai: o sciroppo di vaniglia (quello buono) o la vaniglia naturale. Qui ce ne va poca, quindi ho optato per il primo
Setacciate in una grossa ciotola la farina, il lievito, metà del cacao, la vanillina e il sale. In un altro contenitore combinate le uova, lo zucchero, il burro e il latte. Unite i due composti e mescolate poco, quel tanto che basta per amalgamare il tutto. Aggiungete le noci tritate e versate in uno stampo quadrato da 21 cm (più o meno: comunque, piuttosto piccolo), NON IMBURRATO, levellando bene
Mischiate il cacao rimanente con lo zucchero di canna e 1/4 di litro abbondante di acqua bollente. Versate sopra l'impasto nello stampo e fate cuocere a 190 gradi per 35-40 minuti (prova stecchino).
Servite la torta preferibilmente calda, accompagnata con panna montata

torta budino

Buon Appetito

Ale

lunedì 29 marzo 2010

Clafoutis di feta e zucchine



clafoutis feta e zucchine

Ci credete se vi dico che sto scrivendo questo post alle 3.26 del mattino? E che tendenzialmente non soffro di insonnia? È che il marito è appena uscito di casa, destinazione Malpensa, dove lo attende il volo delle 6.30 per Copenaghen. E questo dopo che è tornato dalla Cina sabato sera, al termine di 24 ore di volo, 7 giorni di permanenza a Canton e 7 ore di fuso sulle spalle e dopo aver trascorso l'intera domenica a lavorare, la mattina in ufficio, il pomeriggio da casa (salvo la "pausa Genoa", dove, more solito, ha lasciato parte del sistema nervoso, apparato digerente buon peso).
E pensare che ho sempre desiderato un marito che viaggiasse per lavoro: mi dava l'idea dell'uomo affermato, del professionista di successo, della famiglia felice, forte di una stabilità economica e di una sicurezza globale, per così dire, come solo un marito/padre di tal fatta avrebbe potuto assicurare. La realtà, invece, è tutta diversa: l'affermazione professionale, speriamo, arriverà, ma al momento siamo nella fase del sacrificio, dell'impegno, della tenacia -e dell 'apprensione da parte mia che, essendo ansiosa, vivo col fiato sospeso ogni volo ed ogni tragitto in auto.
"Vai con lui", mi potreste dire e, in un mondo perfetto, questa sarebbe la soluzione ideale. E' il mondo reale, che mi frega ogni volta, e anche questo caso non fa eccezione: intanto, c'è la creatura con la sua scuola, il suo violino e- soprattutto- la sua età. Siamo nel buio fitto dell'adolescenza che me l'ha progressivamente trasformata da figlia brillante e spiritosa in un'estranea insofferente e insopportabile, perennemente scontenta e arrabbiata. Ieri abbiamo toccato il culmine, con un taglio di capelli rifatto due volte nella stessa mattinata, che l'ha fatta incavolare prima e diventare isterica poi. Lasciarla alle nonne, al momento, significa passare il mio tempo in telefonate internazionali, se non intercontinentali, e marcirmi il fegato prima, durante e poi, quando arriva la bolletta della tim - Gerusalemme docet. E poi ci sono gli impegni , lavorativi e domestici, che non mi danno tregua. Oggi, per esempio, devo buttar via la mattinata (e l'estetista) fra la coda allo sportello dei parcheggi a pagamento, per farmi convertire il tagliando dalla micra alla mini e la coda all'ufficio amministrativo , all'altro capo della città, per vedere se mi tolgono le 4 multe prese nel frattempo, alla faccia del cruscotto disseminato di documenti, spiegazioni e, in ultimo, vere e proprie suppliche. Nel pomeriggio, bisogna comprare il violino nuovo alla figlia e quindi andare dal liutaio, in centro, recuperarne due, portarli in Conservatorio per l'esame dell'insegnante (Albaro), riportarli dal liutaio, prendere quello che intanto abbiamo già scelto (anche qui: paghiamo come banche, abbiamo un liutaio di fiducia che ci segue da anni, il marito è pure competente in materia, potremo avere il diritto di evitarci queste inutili manfrine???) e riportarlo a casa: dove, nel frattempo, devono arrivare l'idraulico- che aspettiamo da mesi: c'è un'infiltrazione nel soffitto del bagnetto e ormai mi sento come il capo del villaggio di Asterix, quello che aveva paura che il cielo gli cadesse sulla testa- e poi il parroco che viene a benedire. Del fatto che, dei 40 giorni della Quaresima, abbia scelto di passare da noi proprio oggi, non si sorprende più nessuno: anche perchè, in tutta sincerità, dubito che in un altro giorno sarebbe stato diverso. Ora che ci penso, già lo scorso anno era stato accolto da mia madre e mi sa che anche stavolta sarà lo stesso. In mezzo, devo lavorare, in casa e fuori: la pila della biancheria sporca e da stirare rivaleggia con quella delle pratiche, ma l'urgenza è la stessa: da una parte, viene a mancare la materia prima, dall'altra mancano due giorni alla consegna delle scadenze del mese, a cui faranno seguito altre pratiche ed altre scadenze. Senza contare l'occhiata ai compiti di greco, quella allo stato del frigo, l'altra allo smaltimento della posta, alla cena veloce, all'orlo da fare al tailleur che mi serve mercoledì. Il tutto con l'ansia del marito a Copenaghen, che arriverà stanotte, stanco morto, e la sveglia puntata alle sei di domani mattina: perchè, si sa, domani è un altro giorno. Ma gli impegni, ahimè, son sempre gli stessi.
Vado a scrivere la niusletter, che è la volta che la spedisco puntuale...

CLAFOUTIS DI FETA E ZUCCHINI

flan zucchine e feta
da Flan Sformati e Clafoutis di Isabelle Brancq- Lepage

per 4 persone
4 uova
75 g di farina
50 cl di creme fraiche liquida (va bene la panna)
2 zucchine
2 cucchiai di olio EVO
10 foglie di menta tritate
100 g di feta
sale/pepe

Preriscaldare i lforno a 180 gradi
Tagliare la feta a cubetti
Sbattere le uova in una ciotola e incorporare pian piano la farina e successivamente la creme fraiche (lavorate con una frusta non elettrica, per evitare i grumi).
Mescolare energicamente, sino ad ottenere un composto liquido e omogeneo. Aggingere la feta, mescolare bene, salare e pepare.
Lavare, asciugare e tritare le foglie di menta
Lavare le zucchine, grattugiarle e soffriggerle in padella in olio d'oliva per dieci minuti. Salare e pepare. Aggiungere la menta tritata e salare. Scolare. Incorporare le zucchine all'impasto. Imburrare abbondantemente una pirofila e versarvi il composto. Infornare per 25 minuti.
Lasciar intiepidire e servire con della carne bianca (??????? io li ho serviti con una bella insalata)
varianti: tagliare le zucchine a rondelle (come ho fatto io)
Sostituire le zucchine con delle carote (de gustibus)
buona giornata
Ale

domenica 28 marzo 2010

Brendan O'Carroll- Agnes Browne Ragazza


Non ti lascerò mai, Connie,
e dovunque tu vai, donna, cammina piano,
perchè porti con te il cuore di quest'uomo


L'unica volta in cui sono stata in Irlanda ero intorno ai vent'anni: erano gli anni di Mrs. Tatcher, dell'edonismo reaganiano, degli scontri sociali, della deregulation, della crisi del comunismo e del trionfo del consumismo, di tutte le grandi trasformazioni che fecero di quell'epoca un'epoca ,ma di cui a me, allora, importava ben poco: a vent'anni, si sa, si ha lo sguardo nel futuro, ed io non facevo eccezione: avevo una tesi da finire, un fidanzato da dimenticare e la ferma determinazione di godermi al massimo quelle tre settimane di vacanza, nel Paese più magico d'Europa.
E così è stato, anzi: nel bagagliaio dei ricordi, è la valigia con lo shamrock quella più piena e più vivida: ci sono gli spruzzi di rosa sul verde delle colline, i messaggi criptati nei ricami dei maglioni, gli studios degli U2, la casa di Oscar Wilde, il soda bread a colazione, l'Irish stew per la cena, il "chi ne ha di più" dei sottobicchieri della Guinness, la foto di rito alla St. Kevin Cross che sennò resto zitella, il vento delle Aran, il silenzio del Connemara, la copia dell'Ulisse su un muretto a secco, i versi di Yeats al terzo Irish Coffee, le messe del mattino, i pub della sera, i capelli rossi e le magliette verdi, i violini e le street band e una carta d'identità sbiadita, con tre segni rossi e una freccia, ad indicare in quell I'm older than 21, il lasciapassare per la sola vita che allora contasse.

L'unica nota fuori posto era il ricordo del rituale dei pomeriggi in Grafton Street quando, all'apertura dei negozi, tranquilli signori di ogni erà si accomodavano di fronte alle varie vetrine, tenendo in mano l'insegna della bottega alle loro spalle. Quando chiesi informazioni, mi venne spiegato che si trattava di un ingegnoso escamotage per salvare capra e cavoli: di qui, i negozianti che non potevano permettersi l'imposta sulle insegne, di là uno stuolo di disoccupati che doveva sbancare il lunario e, in mezzo, la via principale di Dublino disseminata di seggiolini portatili e cartelli in stile sit in che, anzichè alla pace o alla rivoluzione, invitavano a mangiare gli scones da Paddy's e a comprare le gonne da Miss O'Hara.
Confesso che, sul momento, trovai la cosa divertente: ma fu solo qualche tempo dopo, con la laurea nel cassetto e il fidanzato nel dimenticatoio, che al sorriso divertito subentrò un sentimento diverso: di una rabbia sorda per le ingiustizie della storia, di compassione per il cieco accanimento della malasorte e di ammirazione- immensa, assoluta, sconfinata - per il modo con cui gli Irlandesi avevano affrontato le loro disgrazie, unendo al coraggio, all'abnegazione e alla dignità che con cui molti altri popoli hanno reagito agli schiaffi della storia, il tratto tutto peculiare del sereno distacco e della dissacrante ironia.
E fu solo quando lessi Le Ceneri di Angela di Frank Mc Court che ogni tassello tornò al suo posto ed anche quei fieri sandwich men divennero gli ultimi protagonisti di un'epopea struggente ed intensa, all'interno della quale la storia di Agnes Browne occupa, di diritto, un posto d'onore.
Sia chiaro: il paragone con il capolavoro di Mc Court termina qui, non solo perchè lo stile, la materia i personaggi e l'impronta narrativa delle due opere sono del tutto diverse, ma anche e soprattutto perchè i romanzi di Brendon O'Carroll non hanno nulla da invidiare a chicchessia, anzi: la tipicità delle storie e dei personaggi di questa saga è tale da metterle al riparo da qualsiasi confronto, come conviene a tutti i capolavori, grandi o piccoli che siano.

L'infanzia di Agnes Browne è un affondo diretto nell'Irlanda delle lotte politiche e sociali degli inizi del secolo scorso, dalle militanze nella Fratellanza della Repubblica d'Irlanda alla nascita del sindacato e al risveglio della coscienza operaia che, nella famiglia della protagonista si vivono in maniera amplificata: prima di sposarsi, infatti , Agnes Browne era Agnes Reddin, di Constance Parker Wills, erede delle omonime Fonderie e di Bosco Reddin, figlio di un eroe dei Sinn Fein e anima del sindacato della fabbrica del suocero. Il quale, ovviamente, non esiterà un attimo a ripudiare la figlia che, dal canto suo, si voterà per la vita al marito, adattandosi a vivere nel quartiere più popolare di Dublino e a fare i salti mortali per far quadrare il bilancio, ricompensata dei suoi sacrifici dall'amore per un uomo leale, onesto, carismatico e coraggioso, la cui storia è il vero filo conduttore dell'intero romanzo. Attorno ad essa, però, si intrecciano mille altri fili, dal rumore dei vicoli del Jarro al silenzio minaccioso dei picchetti nella notte, dall'irriverenza delle battute di Marion alla sacralità di una promessa antica, dalla fatica reale della vita del mercato alla dimensione surreale, rifugio di un'esistenza troppo e troppo a lungo esposta ai colpi dell'ingiustizia e della malvagità del mondo. In mezzo, affetti ruvidi, modi bruschi, battute volgari, risate crasse, e, ovunque, la lezione di una dignità e di un decoro che travalicano privilegi di rango o di nascita o di classe sociale, a ricordarci, se mai ce ne fosse bisogno, che non è dai diamanti che nascono i fiori
Da leggere, assolutamente.
alla prossima
Alessandra

DEL FUROR D'AVER LIBRI (marzo 2010)

 A leggere Agnes Browne Ragazza, ci avrò messo sì e no tre ore. A scrivere due righe di rece, ci metterò tre giorni- perché non c'è come con i libri "senza filtro", quelli per cui dopo tre pagine non c'è più la parola scritta a fare da tramite fra te e la storia, che io fatico a mantenere quel minimo di distacco necessario a parlarne senza doversi soffiare il naso ogni tre per due.
Quindi, ci tocca aspettare: a voi, la recensione, a me la lettura del libro successivo, In Viaggio Contromano, che è lì sul comodino che mi dice "leggimi leggimi" ma a cui, per ora, sto resistendo, stoica.
Nelle more dell'attesa, sto copiando tutte le rece sulla pagina dei fans di FB, nella sezione delle Discussioni.
Onestamente, non ho ancora capito perchè lo stia facendo, anche se al momento il colpo d'occhio non mi dispiace. Sto addirittura pensando di recuperare anche quelle su aNobii, in una sorta di Summarium, così da avercele tutte lì, in una botta sola.
Dopodichè, i casi saranno due
- o proseguirò nella foga della collezione, trasferendo su FB tutto quello che ho scritto dalle origini ai giorni nostri, letterine a Babbo Natale e formazioni del Genoa comprese
- oppure mi fermerò lì, a chiedermi cosa diavolo ne faccio, di tutta quella roba
Nella prima ipotesi, siete pregati di contattare la Dani, che ha il numero del Dipartimento di Igiene Mentale più vicino alle nostre case; nella seconda, invece, bisogna che mi diate una mano a pensarci un po' su
E' chiaro che se non fossi in mezzo a 'sti indici, col cavolo che mi sarebbe venuto in mente di fare tutto questo lavoro: ci avevo provato, tempo fa, ma solo per rendermi conto sul serio se avere una pagina dei fans su MT andasse oltre al riquadro dei suddetti che ti fanno ciao alla destra del blog.
Stavolta, invece, è partito tutto da una considerazione diversa, vale a dire dalla struttura da "panta rei" tipica di ogni blog, per cui si vedono solo le cose pubblicate dall'oggi al domani e recuperare i post passati è un delirio. Per carità, con le ricette va benissimo: uno arriva, mette i dati nel motore di ricetta et voilà, bell'e che fatto. Ma con i libri, è parecchio diverso.
Per carità, anni di niusletter insegnano che io sono capace di chiacchierare per ore anche di stufati alla birra e minestrine in brodo e resto convinta che la cucina sia uno dei modi più intimi ed efficaci per esprimersi e per comunicare.
Ma parlare di libri è tutt'altra cosa: non più nobile o più elitaria, ma semplicemente diversa, perchè diverso è il modo con cui un libro "parla"- con noi, nei vari momenti della nostra vita, a noi, nella varietà del nostro sentire e del nostro capire. Fateci caso: quante volte abbiamo trovato messaggi sconvolgenti in libri che per anni non eravamo riusciti neppure ad aprire? e quante volte abbiamo colto sfumature e significati che in letture precedenti ci erano sfuggiti? e quante volte ancora il libro che per noi è stato il peggiore dell'anno è piaciuto immensamente ad un nostro amico? A me è capitato un sacco di volte: non mi vergogno a dire che sono riuscita a leggere Dostojewski dopo i trent'anni e che ho capito la Austen dopo i quaranta: ma se non avessi avuto sempre a portata di mano Delitto e Castigo e Orgoglio e Pregiudizio, chi mi dice che non mi sarei fermata alle impressioni dell' 'oggi", precludendomi l'arricchimento che invece ho avuto dalle stesse letture, fatte in tempi più maturi?
Intendo dire, cioè, che per me i libri devono stare "tutti lì". E così come lo faccio nella vita reale- ho librerie chilometriche, con libri su tre file, lo faccio pure in quella virtuale, considerato, a maggior ragione, che qui lo spazio non manca. Mancano, semmai, le idee su come sfruttarlo al meglio: ma ci possiamo pensar su, cosa ne dite?
buona serata
ale
P.S. Quello che avevo detto sul libro che mi tenta dal comodino e su di me che resisto, è vero solo a metà. La prima ovviamente...

sabato 27 marzo 2010

Pane al Pesto (Pesto Bread)




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...mia nonna si sta rivoltando nella tomba...
E con ragione, direi: perchè a Genova, cuocere il pesto è un sacrilegio. Senza se e senza ma.
L'unica ricetta esistente col pesto cotto sono le famose (famigerate???) lasagne alla Portofino, che però, come dice il nome, son roba da foresti. Qui da noi, o crudo, o niente
A me, questo imperativo categorico ha sempre un po' sorpreso. Sia chiaro: non mi sono mai sognata di violarlo, un po' per dogmatismo (mia nonna non era il tipo da cedimenti, e su Genova e la sua storia, meno che mai), un po' per esperienza, avendo toccato con mano, anzi, con lingua, che il pesto cotto fa abbastanza schifo.
Quello che mi sorprendeva, invece, era la corrispondente libertà nella scelta degli ingredienti con cui ciascuno, a casa sua, preparava questa salsa. Sì, lo so che la ricetta è una, che c'è il capitolare, che abbiamo tutti i marchi di questo mondo. Ma se aveste fatto un giro delle tavole dei Genovesi, trent'anni fa, vi sareste accorti subito della diversità delle ricette. Per dire, io conoscevo una signora che ci metteva dentro un tuorlo e che continuava a sostenere che era così che andava fatto. E anche mia nonna, che, da antesignana del Km 0, normalmente disprezzava il burro, ne metteva una noce, per stemperare il forte dell'aglio. Come dire, cucina che vai, pesto che trovi.
Ciononostante, nessuno si sarebbe mai sognato di farne un uso improprio come quello che vedete in foto e che è il prodotto delle mie fatiche domenicali. Nessun genovese, intendo: ma se si varcano i confini della Superba e agari si seguono le orme di Colombo, allora sì, che di simili fantasticherie se ne trovano, insieme alle mille altre che hanno come protagonisti tutti i prodotti della nostra tradizione, dagli spaghetti in giù. Se però, personalmente, non riuscirò mai ad accettare della pasta scotta a contorno di una bistecca o servita assieme alle polpette, su questo pane ho chiuso un occhio e mi son detta "perchè no?", complice anche una vaschetta di pesto comprato nel frigo, residuo del cocktail vulcanico di due sabati fa.
Il risultato è assolutamente scenografico e- nonna, tappati le orecchie- pure gustoso. Lo si può mangiare così, oppure, come mi suggeriva Annalu, come base di una bruschetta con pomodorini conditi. Non c'è limite alla fantasia, insomma: anche perchè lo scempio è già stato compiuto....


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La fonte è qui , dove ci sono tutti i passaggi ortodossi. Io, neanche a dirlo, ho fatto una variazione, che poi si è rivelata fonte di un po' di casino nella composizione della treccia: il procedimento originale, infatti, prevede di suddividere in due l'impasto e di preparare due pani separati. Siccome temevo un risultato finale troppo sottile, ho modificato un po' i passaggi, partendo da un unico pane e suddividendolo il due al momento di metterlo in teglia. L'intoppo si è verificato al momento della formazione della treccia, che lì per lì è venuta sfilacciata, vista la lunghezza dell'impasto: però, una volta che l'ho tagliata in due, l'ho rimodellata con maggiore facilità, ottenendo un risultato che mi ha completamente soddisfatto
Comunque, ecco qui la ricetta e i passaggi (e pietà per le foto e per il piano di lavoro: ma finchè non mi decido a farmene fare uno che si adatti alla penisola rotonda-grrrrrr- della nuova cucina, mi arrangio con mezzi di fortuna)


PESTO BREAD (pane al pesto)
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per due pani, in due stampi da plum cake da litro
250 g di farina (io uso la 00)
250 g di manitoba
280 di acqua tiepida
2 cucchiai di olio EVO
1 cucchiaio raso di zucchero
1 bustina di lievito secco (potete usare anche il lievito di birra, 20 g)
1 cucchiaino di sale
3 cucchiai di parmigiano grattugiato
e, naturalmente, il pesto- 150 g circa

Preparate una pasta da pane:
fate sciogliere il lievito in un po' di acqua tiepida, insieme ad un cucchiaino di zucchero e lasciate "crescere", coperto, per una quindicina di minuti. Poi, aggiungete la farina, il resto dell'acqua a poco a poco, impastando bene e, in ultimo, l'olio e il sale. L'impasto dovrà risultare elastico e morbido, esattamente come quello del pane. Fate lievitare fino al raddoppio e poi procedete in questo modo.
Su un piano di lavoro infarinato, stendere la pasta in un rettangolo e spalmatevi sopra il pesto, lasciando mezzo cm dai bordi


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cospargere con un po' di parmigiano

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e, partendo da uno dei lati cordi, iniziate ad arrotolare l'impasto


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fino ad ottenere questo risultato

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dopodichè, tagliatelo a metà per il lungo. Con il coltello, l'è dura. L'impasto è morbido, il ripieno è semiliquido, insomma, ci vuole una lama più affilata: la rotella da pizza è perfetta

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quandl sarete arrivati in fondo,

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separate le due metà, in questo modo

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e poi arrotolatele a mo' di treccia


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come vi dicevo prima, non avendo diviso l'impasto, la mia treccia inziale è venuta brutta. Però, il bordo era alto, e questo era il mio obiettivo principale. All'inconveniente della treccia, si rimedia. Basta suddividerla a metà, per il lato corto e aggiungere due o tre intrecci, per ottenere un risultato come questo

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A questo punto, bisogna lasciar lievitare bene. Qui calcolate un po' più tempo del solito, perchè l'impasto è molto più grasso del normale: il mio, ci ha messo due ore buone. Alla fine, si presentava così

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Spolverare la superficie con il parmigiano rimasto e infornare a 180 gradi per 30/40 minuti.
Buona giornata
Ale

English Version




venerdì 26 marzo 2010

Le ricette del becchino :-) Red Velvet Beetroot Cake




red velvet (beetroot) cake


Ve lo ricordate il post sui cimiteri?
Quello dove la grande comunità del blog ha dato il meglio di sè nei commenti?
Ecco, io no.
Nel senso che, siccome qui sopra ci scrivo solo cose normali non è che il fissarle per iscritto conferisca loro un maggiore rilievo: che poi siano normali solo per me, questo è un altro discorso, che nulla toglie al fatto che io non ci faccia caso più di tanto e che quindi mi dimentichi di aver raccontato urbi et orbi i miei affari.
Quindi, quando ieri, parlando con un'amica, assidua lettrice di MT, le ho detto che all'epoca in cui viveva negli USA , Giulio abitava da un becchino, non intendevo scatenare nessuna reazione inconsulta come quella che ne è venuta fuori ( e da cui naturalmente prendo le distanze: sono una persona seria, io....)
Anche perchè, se Giulio non avesse abitato lì, non sarebbe mai potuto entrare in possesso di uno dei cimeli di famiglia, vale a dire la raccolta delle ricette di tutte le torte con cui le donne devote del Missouri (le famose Pie Women) erano solite abbellire le bancarelle nelle varie feste parrocchiali, intitolato nientemeno che "From the Good Cooks At Thr Gower Christian Church". Praticamente, uno scrigno di bontà, stando alla copertina e all'indice: "Grandma Burnham's Brown Bread, Luscious Lemon Bar Cookies, Delicious Chocolate Fudge, Marble Marvelous Cheesecake", che la mente associa subito a robe goduriosissime, tripudi dei sensi, trionfi di lussuria e perdizione... Peccati mortali, insomma. Nel vero senso della parola, però. E se non ci credete, leggete qui
Pistachio Cake
1 preparato per torta margherita
1 pacchettino di pudding al pistacchio
3 uova
1 tazza di olio
1 tazza di SEVEN UP (la Zup di Muscaria)
1/2 tazza di noci a pezzetti
Procedimento
Unire tutti gli ingredienti e mescolarli a velocità media per 3 minuti. Infornare per 50 minuti a 180 gradi, lasciar raffreddare nello stampo per 15 minuti, sformare e far raffreddare completamente.
Per la Glassa (credevata, eh, che fosse finita qui???)
1 pacchettino di pudding al pistacchio
1 busta di Dream Whip ( questa ce l'avevamo anche noi: è quella specie di bario che, da montato, si trasformava in schiuma da barba)
1 tazza e mezza di latte freddo
Mescolare a velocità bassa per 1 minuto. Aumentare fino alla velocità media e continuare a mescolare per 5 minuti- perchè, si sa, se non si mescolano a lungo, le torte non vengono buone...

red velvet (beetroot)cake



Prima che cominciate a preoccuparvi, la ricetta qua sotto, che pure è americana, ma americana, ma americana che di più non si può, non proviene da questo compendio di sonore schifezze, ma da un sito/blog statunitense di cui ho perso tutti i riferimenti- che metterò subito, nel caso l'autore passasse di qui. Siccome non so più da dove l'ho presa, non sono neppure potuta andare a farmi un ripasso sull'origine di questa torta, il che rende praticamente certo che da qui in poi snocciolerò una serie di cavolate galattiche (da qui in poi: sia chiaro).
Dunque: la Red Velvet è una torta di cioccolato a cui viene aggiunta una quintalata di colorante rosso e che per tradizione si prepara a San Valentino. In origine, però (butto lì i Pilgrim Fathers), il rosso da cui il dolce prende il nome era dato dalla barbabietola, che insieme al cacao ne costituiva l'ingrediente principale. Quindi, quella che segue è una versione quanto più possibile vicina all'originale, con la barbabietola al posto del colorante, ed è una vera scoperta, almeno per me. Del sapore peculiare della barbabietola resta poco o nulla, mentre la torta acquista una morbidezza fuori dal comune, che resta inalterata per diversi giorni, tanto che, mentre la assaggiavo, mi è venuta subito in mente la torta 3C- quella con la Coca Cola- di cui potrebbe costituire una variante più sana e leggera.

RED VELVET BEETROOT CAKE



red velvet (beetroot) cake

230 g di farina autolievitante
100 g di cioccolato
125 g di burro salato
100 g di cacao (facoltativo)
3 uova grandi
200 g di zucchero di canna
25o g di barbarietola grattugiata

Accendere il forno a 180 gradi e imburrare bene uno stampo a ciambella
Far fondere il burro e il cioccolato a bagnomaria
Montare le uova con lo zucchero e quando sono belle spumose, aggiungere la barbabietola grattugiata finemente; unire il cioccolato e il burro fusi, mescolando bene per far amalgamare tutti gli ingredienti. In ultimo, la farina setacciata (eventualmente con il cacao)
Versare il composto nello stampo e far cuocere a 180 gradi per 35/40 minuti (prova stecchino)
Io l'ho lasciata così, per darvi l'idea del colore che prende, ma negli U.S.A. la decorano con tutto: dalla glassa al cioccolato fuso, allo zucchero a velo. Liberi di sbizzarrirvi come volete, quindi. Intanto, sempre buona resta.






mercoledì 24 marzo 2010

...e il terzo giorno....(flan di arancio e cocco)



flan arancia e cocco


...sfasciossi la mini.
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(spazio per gli smoccolamenti)
Prima che pensiate male, stavolta non è colpa mia: il battesimo della nuova auto è stato officiato da due o più idioti, con il rito collettivo dell'offerta di specchietti e di portiere. Noi ci abbiamo rimesso lo specchietto retrovisore del lato del guidatore (parcheggiato dal lato del marciapiede) e metà fiancata, oltre a un pomeriggio passato a convincere la signorina delle Assicurazioni che "no, non sto scherzando e sì, lo so che l'abbiamo appena stipulati, gli atti vandalici " et similia.
In ogni caso, perchè la pratica abbia inizio, è necessaria tutta una procedura che per il resto del mondo inizia con la denuncia ai Carabinieri e termina con la valutazione dei danni da parte del Perito, mentre per me si esaurisce in una telefonata a mio papà.
Va così da 44 anni e, se qualcosa è cambiato, è l'espressione del suo sguardo, che dalla solenne incavolatura dei bei tempi andati è passato ad una desolata rassegnazione, quasi che si sia piegato al crudele destino che lo chiama sempre - sempre- a tamponare i casini della sua figlia maggiore: ma per il resto, il copione è sempre lo stesso, con me che gli dò le chiavi e lui che nel giro di poche ore riconsegna la merce come nuova.
Oggi, però, abbiamo fatto eccezione.
Passo indietro: due o tre mesi fa, a seguito di una mezza rivoluzione del mio orario d'ufficio, mi sono ritrovata con il lunedì mattina libero- vale a dire 4 dicasi 4 ore senza ufficio, senza marito, senza figlia e pure senza casa da riordinare, visto che la signora viene il lunedì. Mi fosse piovuto addosso un tir di manna da cielo non sarei stata così contenta. E quindi, il lunedì mattina, dalle 9 alle 11, vado dall'estetista e guai al mondo se devo cambiare il programma, anche se questo significa costringere mio padre a salire due rampe di scale per prendersi la chiave della macchina.
Dall'estetista faccio una specie di impacchi rassodanti-restringenti-rilassanti, a base di non so quali erbe diluite con acqua di Lourdes, che pare facciano effetto solo se avvolti in non so quanti metri di pellicola trasparente e sotto non so quanti strati di coperte termiche: su di me, fanno un effetto inquietante, stile la cicciona di B.C. vestita da Tutankhamon per il ballo di carnevale: ma siccome se mi muovo vanifico ogni sforzo, tutti i lunedì affronto con coraggio questa prova, restando inchiodata al lettino come l'ostrica allo scoglio, chiudendo la bocca e trattenendo il fiato, che maniman mi muovo.

Sapete già come è andata a finire, vero?
La prima telefonata è arrivata alla fine dell'incellophanamento, proprio quando avevo le braccia completamente immobilizzate:
"guarda che la mini non ha niente"
" come non ha niente" dico alle mie pieghe del collo, nelle quali la man pietosa della Mercedes ha incastato il cellulare. "ha uno specchietto retrovisore rotto e una fiancata da rifare"
"no, no, non ha niente: qui c'è tutto perfetto- specchietto, fiancata, tutto. E' quella grigia, no? E' quella parcheggiata di fronte a casa, no? E allora, non ha niente"
La seconda telefonata l'ho presa sollevando l'avambraccio all'altezza dell'orecchio
" Belin, me lo potevi dire che qui son solo mini grigie..."
La terza telefonata, ha richiesto l'impiego del polso
"a che ora è avvenuto il sinistro?"
"papà, come parli?"
"son dai Carabinieri: a che ora è che ti han rotto la macchina?"
"papà, non è un incidente: è un atto vandalico, senza testimoni.."
Breve confabulazione
"ma qui vogliono sapere a che ora è successo..."
La quarta telefonata, l'ho presa direttamente con la mano sinistra, mentre con la destra davo pacche di conforto alla mia estetista, sempre più afflitta
"che lavoro fai?"
Secondo voi, le testate nel muro, lo fanno venire il collo liscio????

P.S. Nel lungo elenco delle persone /cose/situazioni che la gente mi invidia, mio padre occupa il primo posto. Su tutto il resto discuto, su mio padre no: perchè se c'è una figlia davvero fortunata al mondo, questa sono io.

FLAN DI ARANCIO E COCCO

flan arancia e cocco




La ricetta proviene da qui, con l'unica modifica della base, nel mio caso sostituita dalla pate sucrée di Michael Roux.

per la pasta sucrée (M. Roux)
-250 gr di farina
-200 gr di burro tagliato a pezzettini leggermente ammorbidito
-2 tuorli
-un pizzico di sale
-100 gr di zucchero a velo
Lavorare insieme tutti gli ingredienti. Lasciar riposare l'impasto in frigo per almeno mezz'ora, avvolto in pellicola trasparente

Per il flan
2 arance non trattate
40 g di farina di mais
3 uova
80 g di zucchero
30 cl di latte di cocco
pasta sablè


Preparazione

Imburrare bene uno stampo a cerniera di 22/24 cm di diametro e rivestirlo con una sfoglia di pasta sucrè

Grattugiate la scorza delle arance e spremetene il succo, in modo da ottenerne circa 150 ml. Filtratelo e stemperatevi la farina di mais, poco per volta.

Montare i tuorli con lo zucchero, fino ad ottenere un composto spumoso. Aggiungere il succo di arancia in cui è stata sciolta la farina e, in ultimo, il latte di cocco e la scorza d'arancia grattugiata


Versare il composto nello stampo ed infornare a 180 gradi, per 35 minuti circa. Fate raffreddare completamente, prima di sformare il flan
Buon Appetito
Alessandra



domenica 21 marzo 2010

DEL FUROR D'AVER LIBRI (marzo)

 Visto che è primavera anche per menuturistico, stiamo mettendo in ordine nel gran casino che siamo riuscite a creare in poco meno di un anno ( e se non ci credete, date un'occhiata all'archivio e trovatemi un altro blog con le ricette indicate come 2) e 3)). Io ho iniziato dai libri e, già che c'ero, ne ho approfittato per dare un'occhiata a tutte le recensioni pubblicate sinora, con un distacco maggiore a mano a mano che retrocedevo nel tempo. Alcune mi sono piaciute di più, altre di meno e qualcuna per niente, anche perchè molte di esse (le meno recenti) erano destinate ad un "pubblico" diverso e quindi erano piene di riferimenti personali che con una lettura critica di un libro c'entrano come i cavoli a merenda. Tuttavia, mi sono accorta che, al di là della diversità di giudizio, esiste comunque un filo che le lega e che la dice lunga sul mio approccio all'argomento: vale a dire che, mentre sono più obiettiva con i libri meno noti, divento acida e impacabile con i best sellers e con le opere prime degli emergenti.
E' evidente che, almeno in apparenza, il nesso logico non c'è. Ma se si rilegge questo dato dal mio punto di vista (personalissimo e quindi fallace e criticabile) le due cose si incastrano benissimo. E vi spiego il perchè.

Che dietro ad ogni libro ci sia un'operazione di marketing è ormai un assioma, che vale soprattutto per le grandi case editrici: nel loro bilancio, ci sono tirature numerose e iniziative promozionali costosissime, per cui, se si decide di puntare su un autore è perchè o quest'ultimo ha già avuto "di suo" un grande successo, con case editrici più piccole, o è perchè ha per le mani un manoscritto che ha buone possibilità di sfondare fra il grande pubblico. Fin qui, niente di strano e neppure di emendabile, anzi. L'unico editore che ho conosciuto che pubblicava solo libri che gli piacevano ha portato al fallimento una delle più prestigiose case editrici italiane e la stessa Sellerio, come dicevamo l'altro giorno, avrebbe faticato parecchio a sopravvivere con il suo meraviglioso catalogo se non ci fosse stato l'insperato boom di Camilleri. La nota stonata, purtroppo, è che le strategie di vendita interpretano la necessità di assecondare i gusti della massa adeguandosi semplicemente al livello di quest'ultima, senza fare alcuno sforzo per elevarsi al di sopra di esso. Per quanto personalmente sia convinta che mai il cosiddetto "grande pubblico" sia sprofondato in tali abissi di volgarità e di becera ignoranza come al giorno d'oggi, non punto il dito contro le magagne della nostra epoca: fino a cinquant'anni fa, il livello di scolarizzazione in Italia era basso e l'analfabetismo era ancora diffuso. E tuttavia, le opere destinate a questa fascia di lettori, pur trattando tematiche alla moda e sviluppate in trame semplici, con personaggi stereotipati, si elevavano e di molto rispetto al loro pubblico, usando periodi grammaticalmente corretti, arricchiti da un lessico ricercato e comunque più alto del parlare comune. Tanto per fare un esempio, mia nonna, dall'alto della sua sesta elementare, trovava Liala stucchevole e melensa, "buona" solo per le comari: eppure, il peggiore romanzo di questa scrittrice era comunque infinitamente al di sopra del livello delle sue lettrici. La maggior parte dei best sellers di oggi, invece, fa esattamente il contrario: una volta trovata la banda di sintonia con il proprio mercato, anzichè esprimerla ed interpretarla in maniera rispettosa della fierezza della parola scritta, la svilisce in una prosa becera, sgrammaticata, consunta prima ancora che obsoleta, in total dispregio della dignità della letteratura con la L maiuscola.
Per cui, se permettete, mi arrabbio

Per lo stesso indentico motivo, mi arrabbio con l'"autor giovine". Mi guardo bene dal generalizzare, perchè, come in tutte le cose, accanto alle braccia rubate all'agricoltura, ci sono autori che promettono bene. Nello stesso tempo, però, non posso negare che un gran numero delle opere prime che ho dovuto analizzare/correggere/rivedere in questi anni sia viziato da una disarmante impreparazione dei rispettivi autori. E qui, faccio una digressione
Come sapete, la Dani ed io siamo madri di due ragazzine che studiano musica e che suonano entrambe uno strumento il cui diploma verrà rilasciato dopo aver superato i dieci anni previsti dal corso. Una volta diplomate, però, saranno solo al primo gradino della loro formazione artistica: dovranno fare un biennio di perfezionamento, una serie di master e, soprattutto, mantenere costante lo studio quotidiano che, già ora, è di parecchie ore al giorno (per mia figlia son minuti, ma tant'è). Per chi conosce la musica, tutto questo è assolutamente normale: la musica è una materia vasta e complessa, dove lo studio della storia si interseca con la fatica dell'assimilazione delle basi e dove le rigide leggi dell'armonia vanno di pari passo con l'originalità delle interpretazioni.
Se però trasferissimo queste categorie nell'ambito della letteratura, non ci troveremmo di fronte ad una materia tanto diversa, per vastità e per difficoltà, tutt'altro. Eppure, sfido a trovare un giovane autore che per dieci anni abbia letto classici per due-tre ore al giorno, abbia sudato sulla grammatica, abbia fatto esercizio di scrittura, di analisi del testo, di ermeneutica e filologia. Dieci anni, tutti i santi giorni, tre ore al giorno- per coltivare un talento innato, sia chiaro: perchè altrimenti si avrebbero degli onesti mestieranti, ma di artisti veri, neanche l'ombra.

A questo punto, il filo rosso su cui scorre la mia arrabbiatura dovrebbe essere chiaro: se i miei modelli sono Federico Moccia o Dan Brown o anche la Camilla, come posso pensare di dover dedicarmi ad uno studio matto e disperatissimo per diventare famoso? e se l'editoria richiede che il mio genio si adegui ai (dis)gusti del mio potenziale milione di lettori, che senso ha educarlo in modo tale che non riesca a piegarsi al servo encomio della legge del successo? e pazienza se si perdono occasioni preziose per insegnare agli altri a riflettere e a pensare e a crescere come persone autonome nella mente e nel cuore: la scalata alle classifiche di oggi non passa certo da qui

Almeno, lasciate che mi arrabbi....
Alla prossima
Alessandra

venerdì 19 marzo 2010

La legge del tagliere...(crostata ricotta e whisky destrutturata)



crostata ricotta e whisky destr

...che non è qualcosa tipo "mirepoix per mirepoix, julienne per julienne", ma l'ultima, sublime sparata di mio nipote. Figlio di mia sorella, sangue del mio sangue e, quel che più conta, cugino della creatura da cui si distingue, a parte le ovvie differenze di madre natura, per avere diciotto mesi di meno e una quintalata di ormoni in più. Per il resto, tutto uguale, tanto che è grazie a loro che io e mia sorella, da sempre diversissime, abbiamo finalmente scoperto di aver molto in comune: lo stesso colorito verdognolo all'uscita dei colloqui con i professori, per esempio, la stessa circonferenza delle vene del collo ogni volta che si tratta di farli studiare, la stessa estensione di voce che se solo avessimo saputo di avere tre ottave come minimo, col cavolo che saremmo finite a marcirci il fegato così e, per finire, la stessa desolante incredulità di fronte agli abissi della loro ignoranza. Se mai aveste qualche dubbio, eccovi l' Ultima Scena (tanto per restare in tema col titolo)

Lunedì 15 marzo, cucina di casa mia, ripasso per la prossima interrogazione di arte

Domanda : Che cosa si intende, per "stile severo"?

Risposta (da leggersi con la stessa vivacità di un condannato al patibolo, dopo che la mannaia ha fatto il suo dovere fino in fondo)
"lo stile severooooooo..... eeeehhhhhhhhh......è uno stileeeee.........eeeeeeeehhhhhhh..... dove le statueeeeeeeee.... eeeeehhhhh... hanno tutte delle facceeeee.... severeeeeeeeeeeeeeeeeee"

D. Qual è la principale caratteristica dello stile severo?
R. "eeeeeeeeeehhhhhhhhhhhhhhh.... la principale caratteristica dello stile severooooooo.... ma c'è sul libro?????....ah.... eeehhhhh.... la principale caratteristica è che, siccome adesso sanno l'anatomiaaaa - istantaneo risveglio della quintalata di ormoni- eh-eh-eh. (sghignazzata)....siccome adesso sanno l'anatomiaaaaaaaaaaaaaaa - arriviamo pure ad una strizzatina d'occhio- siccome sanno l'anatomia gli cambiano le pettinature, alle statue, e non ci mettono più il perlinato"

D. A chi si deve il nome di "stile severo"?
R. A quello lìì..... dai zia.... quel finocchione tedesco, che si chiama come la UI e qualche cosa

D. Quali opere sono giunte fino a noi?

Questa la sa.
Prende fiato, si rianima, recupera pure una posizione vagamente eretta e comincia :
"La cosa strana dello stile severo è che le opere più belle che sono giunte fino ai giorni nostri sono di astisti anonimi, mentre degli scultori di cui si conosce il nome, ci sono arrivate solo copie romane"
E, visto che ha preso l'aire, aggiunge: "I Romani le producevano in serie, si mettevano lì, una dietro l'altra, belli veloci e poi ci stampavano 'fac simile' sopra"

crostata ricotta e whisky destr

Wow, questa mi piace. La visualizzo subito, in un fumetto stile Asterix, con i Romani che mettono il timbro "fac simile" sul polpaccio del discobolo di Milone o sull'ala della Nike e istantaneamente sorrido. Mi piace così tanto, che gli faccio i complimenti perchè comunque, puoi girarci intorno quanto vuoi, ma è il DNA quello che conta: e chissenefrega se non sai la lezione del giorno: questo è il vero background, la cultura vissuta, la prova che tutti gli sforzi di noi tenaci madri sono andati a buon fine...

Mi guarda in silenzio.
Evidentemente, gli è sfuggito qualcosa del mio commento.
Glielo ripeto: " dài, scusa, per una volta che ne spari una carina... i Romani...le copie... il latino del 'fac simile'..
" ah........ ma........zia......... ma..... fac simile è latino????"
"beh, certo che è latino, scusa... che lingua pensavi che fosse?"
E qui, tenetevi forte, perchè, per quanto siate dotati di immaginazione, andiamo veramente, ma veramente, ma veramente oltre
" inglese, zia: F...U...C...K"

L'atroce epilogo ha, come unico merito, il perfetto adeguamento al resto della storia: la creatura, originariamente convocata per partecipare al pubblico ludibrio del cugino, ha rivelato non solo di non conoscere l'origine dell'espressione, ma addirittura di non averla mai sentita. Quando mio nipote le ha rammentato i sacri testi, che in questo caso erano le banconote del Monopoli, ha risposto con aria di sufficienza che lei, a Monopoli, ci giocava quando non sapeva ancora leggere: "e comunque, ha aggiunto compita- è una cosa che si manda col fax: lo abbiamo studiato di greco, che le parole le capisci da quello che le compongono...scusa, eh, cugi, ma noi classiciste ci capiamo al volo...

Vado a sbronzarmi col Malox...


CROSTATA DI RICOTTA E WHISKY DESTRUTTURATA

crost ricotta whisky destr.


Questa è la versione chic della crostata con la ricotta e whisky che, a mio parere, resta uno dei dolci migliori di menuturistico. Potevamo non dargli l'onore di una destrutturazione, per quanto minimal? Ovviamente no, ed ecco qui che cosa ne è uscito

per 12/15 persone

Per i cucchiaini di frolla

per la base
3 hg di ricotta
3 hg di farina 00
250 g di burro (proh dolor)*
1 cucchiaio di zucchero

* la stessa marca della crostata

Preparare un impasto con tutti questi ingredienti e lasciate riposare in frigo per una notte.
Stendere la pasta su un piano infarinato, allo spessore di un cm circa e con un tagliapasta a forma di cucchiaino, ritagliarne circa una ventina. Se non avete il tagliabiscotti apposito, potete preparare da voi la forma su un cartoncino, appoggiarla sulla pasta e tagliare lungo i bordi, con un coltellino affilato.
Disporre i cucchiaini su una teglia da biscotti ricoperta con carta da forno e infornare a 180 gradi per una ventina di minuti.

Per la crema
le dosi originali erano queste

400 g di ricotta
400 di zucchero a velo (potete scendere fino a 300)
2 tuorli piccoli
whisky (almeno mezzo bicchierino)

io ho modificato così

due tuorli e due albumi
300 g di zucchero semolato
400 g di ricotta
whisky

Siccome è una preparazione fredda, ho pastorizzato i tuorli, facendo una pate a bombe; ho aggiunto poi una meringa italiana ( quindi, cotta) per rendere la crema più spumosa.

crostata ricotta e whisky destr.

Preparare uno sciroppo di zucchero molto denso: qui vado a occhio, ma calcolate una pari dose di acqua che lascerete evaporare sul fornello a fiamma sempre più bassa ( comincio dal fuoco medio e poi scendo, a mano a mano che si addensa): deve ridursi di almeno la metà del suo volume. ( se avete un termometro, siamo a 120 gradi)

Montate i tuorli con metà di questo sciroppo: questa è la cosiddetta pate a bombe ( per essere precisi, ci vorrebbe il glocosio, per non far solidificare lo zucchero, ma in questo caso va bene così). Montate i tuorli a velocità bassa, versando lo sciroppo a filo e aumentando progressivamente la velocità, fino a completo raffreddamento della massa. Volendo, potete lavorare anche a bagno maria: in questo caso, per arrvare al raffreddamento, dovrete immergere il recipiente in acqua fredda.
A parte il risultato finale (lucido, spumoso e senza neppure la minima traccia di grumo da zucchero mal sciolto), questo procedimento serve per pastorizzare le uova: è dai tempi dell'asilo della creatura che preparo il tiramisu in questo modo, sacrificando un casseruolino sporco in più alla sicurezza alimentare, o come cavolo si chiama
Lo stesso discorso vale per la meringa italiana
Montate gli albumi, aumentando progressivamente la velocità e versando a filo lo sciroppo di zucchero. Continuate a montare, fino al completo raffreddamento
Tornando al nostro dolce, aggiungere ai tuorli montati la ricotta setacciata (è importantissimo: è una preparazione a crudo, quindi deve essere "liscia"), il whisky e, in ultimo, la meringa, incorporandola al composto senza che si smonti. Suddividere la crema in tante coppette ma monoporzione (oppure in un'unica coppa) e tenere in frigo fino a pochi minuti prima di servire. Volendo, una spruzzata di cacao ci sta

Buon Appetito
Alessandra




mercoledì 17 marzo 2010

filetto di rombo in crosta di liquerizia e lemon curd...SALATO!!!!!



salted lemon curd


Una delle cose che non vi ho mai detto è che io ho la passione per i cimiteri e per le tombe. Premetto che mi viene solo fuori dal circondario genovese, il che ha quantomeno preservato la mia fama da nomee imbarazzanti con i vicini: però, è un dato di fatto che, ad ogni viaggio, sin dalla sua programmazione, fra i vari luoghi di interesse, io ci schiaffi pure questi.
So per certo che non sono nata così, perchè fino ai vent'anni ero normale. Ma dopo il lungo soggiorno nella campagna inglese, dove ad ogni passo trovavo la vecchietta che mi voleva portare a vedere un cadavere o i suoi brandelli, non sono più stata la stessa. Per cui, se vedete qualcuno che gira con Spoon River sul cruscotto della macchina o che snocciola i Sepolcri a memoria, quella di sicuro sono io.
Col tempo, i miei si sono abituati, tanto che non ci fanno quasi più caso: il marito alza gli occhi al cielo, mia figlia sbuffa e si vendica mettendomi nei temi ("la mamma è macabra", in seconda elementare, mi fruttò il primo dei colloqui preoccupati con la maestra), ma ormai si sono rassegnati alla cruda realta: se c'è una tomba, nel giro di 20 km, non mi sfugge.
Fin qui, la cosa potrebbe anche non essere strana più di tanto: esistono cimiteri monumentali famosissimi - provate ad andare a Parigi, per esempio- e le guide segnalano sempre reliquie o tombe di personaggi famosi. Solo che nessuno dei visitatori usa farsi fotografare lì in mezzo, e meno che mai in pose a dir poco imbarazzanti: anche qui, se vedete una tipa abbracciata ad una lapide, con un'espressione beata sul volto, accertatevi che non sia la sottoscritta, prima di allontanare i bambini e di allertare il custode.
Tutto questo per dirvi che, nella mia geografia tombale, che va da Cholsey (Agatha Christie) al Pere Lachaise ( Oscar Wilde), è contemplato pure il cimitero di St. Paul de Vance e non per la tomba di Chagall, bensì per quella di Escoffier. L'avevo letto su non so quale guida, la volta che ero riuscita a convincere il riluttante marito a fare un giro a Villeneuve Loubet, città natale del grande Auguste e sede del museo a lui dedicato: pertanto, di mancare a questo appuntamento non se ne sarebbe parlato neanche.
Ricordo la scena come se fosse ora: una giornata di sole, alla fine dell'estate, nella luce tutta speciale del Sud della Francia che illuminava tutte 'ste tombe, oltre che il viso della sottoscritta. La quale, dopo un giro veloce (ormai, sono l'equivalente di un cane da tartufi) scovava subito l'agognata lapide e, come da copione, si metteva in posa per la fotografia di rito.
Il dubbio mi è venuto intorno al decimo scatto, di fronte ad una comitiva di giapponesi perplessi, che venivano tirtai per la giacca da una guida inferocita, che continuava a ripetere che il n'y a rien à voir ici. Per un po', ho guardato tutti con aria di sufficienza - ah ah, te lo dò io l' il nià rien a vuar isi- ma poi, alla fine, mi è preso il dubbio e mi son girata a controllare l'epigrafe: sulla quale- orrore degli orrori- c'era scritto Maurice, anzichè Auguste...

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Tutta questa pappardella per dirvi che 'sta invenzione del secolo del Lemon Curd salato è tutta frutto della rielaborazione della Salsa Olandese del Sommo, a cui si aggiunto più limone del dovuto, oltre che un cucchiaio d'olio, ma solo per ridurre le quantità di burro, che sono in effetti spaventose. Se vi piace la versione dolce, vi piacerà anche quella salata, con l'unica differenza che, mentre nella prima ci si strafoga, qui si procede a piccole dosi, a causa dell'assenza di zucchero che non attenua l'acido del limone. Noi lo abbiamo accostato ad un pesce, in una preparazione di per sè già profumata e devo dire che è stato promosso a pieni voti: assai più raffinato della maionese, meno grasso dell'olandese e, non ultimo, preparabile in anticipo.

salted lemon curd

Prendete tre tuorli e montateli a bagno maria, aggiungendo a poco a poco 100 g di burro, sempre montando. Quando avete raggiunto la consistenza di una massa spumosa, aggiungete due o tre cucchiai di olio extravergine a filo e, in ultimo, il succo di due limoni e la scorza grattugiata di uno solo. Salate e invasate da caldo.
Due cose
1) il retrogusto di uovo si attenua con il limone e con il grasso: per me, queste dosi sono più che sufficienti per ammortizzarlo, ma se siete fra quelli che non riescono a sopportare neppure il sentore, aumentate le proporzioni di questi due ingredienti
2) come dicevo prima, ne va usato poco: serve solo per nappare il piatto, esattamente come la salsa olandese e lo zabaione salato. L'enorme vantaggio è che lo si può preparare qualche ora prima- e per me che detesto l'ansia dell'ultimo minuto, specie in preparazioni lunghe come queste, è l'ideale.






rombo alla liquerizia

La ricetta a cui lo abbiamo abbinato è questo Filetto di Rombo in crosta di Liquerizia, ispirata ad un numero di ATavola (novembre 2006, ma posso sbagliare), dove al posto del Lemon Curd si usava un burro profumato alla vaniglia. Al di là della scelta della salsa, la preparazione è semplicissima, visto che si tratta di filetti di rombo passati in una panatura di pangrattato e di liquerizia in polvere e messi a cuocere in padella con poco olio d'oliva. L'abbinamento, comunque, funziona e la ricetta è da porca figura assoluta, a cominciare dal nome altisonante e a finire con l'aggiunta di liquerizia, che dà un tocco originale al tutto.
Buon appetito
Alessandra


lunedì 15 marzo 2010

Mississippi Mud/ In the Mood/ Cake ( Canzone per una Micra)




mississipi mud cake

Soluzione del problema

La variabile impazzita è la Micra. Nel senso che ce la siamo tenuta, ma prima l'abbiamo venduta a mio suocero e poi è tornata a casa. Ora, non cominciate a chiedermi il perchè e il percome, visto che di tutto questo balletto delle macchine sono stata solo una spettatrice, per giunta distratta. E' andata bene così, e tanto basta.
E' ovvio che non pretendo comprensione: vedere la Micra e associarla ad un automobile equivale ad un ripasso istantaneo di tutto S. Agostino, dall'atto di fede in poi. Però, sbarazzarmene a cuor leggero per me non è facile, proprio per niente. Intanto, se c'è un bene di cui non me ne può importar di meno questo è proprio l'automobile. Ricordo che una volta, ad un tizio che mi aveva chiesto che cosa rappresentasse, per me, la macchina, avevo risposto su due piedi "quattro ruote e un tetto". Avrò scombinato i suoi sondaggi, di sicuro, ma tuttora non saprei trovare un altro significato se non quello. Niente di più e niente di meno che un mezzo, giustificato, come è ovvio, dal fine. Siccome, nel mio caso, il fine è quello di scorrazzarmi a destra e a manca nel traffico cittadino, a me ci vuole una macchina piccola, che consumi poco, meglio se borlata ovunque e sufficientemente docile da farsi addomesticare: vale a dire, che sappia restringersi automaticamente, di fronte al cancello dell'ufficio e che si allarghi a dismisura quando esco dal supermercato.
Nello stesso tempo, se c'è un bene di cui mi importa oltre ogni umana comprensione, questa è proprio la Micra. Il che, per una che tendenzialmente butterebbe via tutto, è una inspiegabile eccezione. Il fatto è che io, a questa macchina, sono affezionata, e lo sono pure in un modo profondo e viscerale: è stata la compagna delle mie salite, quando la leva del cambio non si spostava mai dalla prima e, in qualsiasi parte mi abbiano condotto i capricci della vita, ci sono andata con lei. Ed ora che il cambio funziona come tutti gli altri - dalla prima alla quinta, con un po' di retromarce- a metterla in un angolo non ci penso nemmeno. Se ne torna a stare in questa via di macchine scic, con i suoi borli e i calci nel paraurti e io che ogni tanto la veglio dal poggiolo. Non sia mai che il camion della rumenta se la porti via...


MISSISSIPPI MUD CAKE
"TORTA DI FANGO DEL MISSISSIPPI"

mississipi mud cake

A dispetto del nome (mud significa fango), questa è una delle torte più goduriose che ci siano: per mia figlia, è l'anticamera del Paradiso e non deve aver sbagliato di molto il giudizio, visto che il mio capo, l'altro giorno, ci si è quasi strozzato, da tanto si ingozzava. Sempre per la solita storia delle medaglie e dei loro rovesci, è una bomba calorica, senza troppi mezzi termini: però, chi scrive è una ferrea sostenitrice del principio per cui, se peccere si deve, tanto vale farlo fino in fondo... E comunque, visto che la ricetta proviene dal forziere della suocera, questa volta prendetevela con lei...

per la base
60 g di cioccolato
60 g di burro
225 g di digestive (o similari)

Tritare finemente i biscotti e amalgamarli al burro e al cioccolato, fusi a bagnomaria. Ricoprire con questo composto il fondo di uno stampo a cerniera ben imburrato e mettere in frigo per almeno mezz'ora

Per la farcitura
180 g di cioccolato fondente (70%)
180 g di burro morbido
4 uova
180 g di zucchero di canna
180 ml di panna fresca

Montare il burro con lo zucchero, aggiungere le uova ad una ad una, poi la panna e, in ultimo, il cioccolato fuso a bagnomaria (o nel micro, è lo stesso)
Versare questo composto nello stampo, sopra la base di biscotti indurita, ed infornare a 180 gradi per 40-45 minuti.

Sul fatto di servirla con un ciuffetto di panna montata al fianco, glisso... Però, fidatevi, è una roba sublime...
Buon Appetito
Alessandra


sabato 13 marzo 2010

salsa bianca alle mandorle- e un problema


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Problema

I Gennaro's possiedono tre macchine e decidono di venderle tutte e tre, per comprarne altre tre Considerato che, nelle more dell'acquisto, nessuno regala loro altre autovetture, nè decidono di adottarle, come è possibile che le Gennaro's cars ora siano 4???

Vi dò tempo fino a lunedì.


SALSA BIANCA ALLE MANDORLE
(ricetta presa da qui)






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Ufficialmente, questa ricetta non dovrebbe aver nulla a che fare con le "nostre" salse di noci e salse di pinoli: le mandorle non appartengono alla tradizione ligure e la fonte è un libro (da sbavamento) che non lascia spazio a fraintendimenti di alcun genere: una produzione tutta francese, con un titolo inglese.
C'è da dire, però, che gli ingredienti sono pressocchè gli stessi, tanto che ieri, dopo averla accompagnata ad un pesce delicato e dopo essercela mangiata direttamente dal barattolo, abbiamo condito con gli avanzi un bel piatto di troffie.
Per cui, io copio alla lettera, aggiungo le mie modifiche e lascio a voi l'ardua sentenza: fermo restando che, quando una cosa è buona, non c'è albero genealogico che tenga...

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150 g di mollica di pane
2 spicchi d'aglio (uno solo- e già si sentiva)
150 g di mandorle (un po' di più, ma dipende dalle mandorle: le mie non erano granchè)
6 cucchiai di olio d'oliva
2 cucchiai di aceto di Xeres (non l'ho messo, ma solo perchè me lo son proprio dimenticato...e dire che ce l'ho, porca miseria...)
sale e pepe

Ammollare la mollica in 300 ml di acqua (ho messo il latte, stessa quantità), per 30 minuti
Frullatela con l'aglio sbucciato, le mandorle, l'aceto e l'olio d'oliva. Salate e pepate

E' assolutamente perfetta col pesce, tipo spigola, branzino o trota, anche salmonata. Un po' diversa dalla solita maionese, molto più incisiva e raffinata. Promossa a pieni voti, insomma.

Buon fine settimana
Ale




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giovedì 11 marzo 2010

Risotto Cardamomo Cozze e Zafferano

di Alessandra


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Due premesse
1. A Genova e dintorni, le cozze si chiamano muscoli. Il che ha da sempre ingenerato equivoci imbarazzanti, soprattutto quando ammetto che resisto a tutto, ma ai muscoli no
2. Benedetto l'archivio delle nius....

"quando io ero piccola, vivevo in un paese alla periferia di Genova: il classico paese che ottempera a tutti i cliché- dall'essere tutti mezzi parenti all'andare a dormire con le porte di casa aperte, dall'autobus che faceva l'ultima corsa alle cinque della sera alla messa domenicale con il vestito buono, financo alle mangiate nella società di mutuo soccorso, rigorosamente riservate al sesso forte.
erano regole non scritte, alle quali mai nessuno aveva trasgredito: le mogli se ne stavano a casa a guardare la televisione, i bambini a letto dopo carosello e i mariti che rientravano con la pancia piena, belli contenti. Il giorno dopo filava tutto liscio come sempre, con un tran tran rassicurante e consolidato, la cui unica sorpresa riguardava che cosa sarebbe stato scodellato sui tavoloni del raduno, la prossima volta.
se non che, un bel giorno,capitarono i muscoli.
E mio padre infranse la regola.


Sono sempre stata una bambina di scarso appetito. Non che non mangiassi, tutt'altro: è che mi bastava poco per resistere fra un pasto e l'altro e, per giunta, quel poco non era poi di grandi pretese. Ricordo che detestavo la carne, non amavo le verdure e se fosse stato per me sarei vissuta felicemente di gnocchi al pesto, di pane all'olio e di salame dolce.
Oltre che di muscoli, naturalmente.

Di quelli, ne avrei mangiati in quantità industriale e tuttora, ogni volta che devo scartare quelli che non si sono aperti, mi prende lo stesso rincrescimento con cui , da piccola, mi toccava buttarli via. ricordo anche che affrontavo stoicamente la sete, perché all'epoca il detto imperante era che ci si doveva bere sopra solo del vino, e guai a darne a una bambina: ciononostante, nulla, proprio nulla mi poteva trattenere dal mangiarne a volontà.
E così, quando si seppe che c'era una partita di muscoli freschi freschi, pronti ad allietare la mensa della società, mio padre decise che quella sera sarei andata con lui.
il resto, è molto sfocato: c'era una tavola lunga ed io venni messa in fondo, in un angolo, vicino ai soci più anziani. dopodiché, insieme ai muscoli, fu intavolato non so quale discorso che tenne mio padre infervorato per parecchio tempo- almeno fino a quando un amico lo tirò per la giacca, dicendogli che... forse... "a figgetta" ...

Le cronache parlano di cinque chili di muscoli finiti dritti nel mio stomaco, insieme a non so quanti bicchieri di vino bianco. mio padre cercò di comprare il silenzio dei convitati, ma, ahinoi, fra i cliché di cui sopra c'erano anche quelli che conseguono al paese piccolo e mia mamma non aveva fatto in tempo ad aprire gli occhi, la mattina dopo, che la gente aveva già mormorato, con tutti i dettagli- e, se tanto mi dà tanto, anche qualcosina di più...
quel che è peggio è che il giorno dopo a Napoli scoppiò una bella epidemia di colera: e se non fosse stato che mia madre, di muscoli, non ne aveva toccati, avreste detto che la contagiata era lei, visto il colorito verdino che tenne su fino a quando non le passò l'arrabbiatura....

RISOTTO COZZE- ZAFFERANO- CARDAMOMO
da Sale&Pepe febbraio 2010
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E mo' si ride perchè ho perso la rivista...
Vado a briglia sciolta

Ingredienti per 4 persone
4 pugnetti di riso più uno* (carnaroli, of course)
mezza cipolla
brodo di pesce
zafferano
olio EVO
un pizzico di cardamomo
sale
500 g di cozze
1 bicchiere di vino bianco secco
prezzemolo

* quelli di Sale&Pepe mi querelano

Pulire bene le cozze sotto l'acqua corrente, metterle in una padella, a fiamma viva, coprire con un coperchio e lasciarle lì, fino a quando si aprono. Togliere le valve e mettere da parte

Preparare un risotto allo zafferano **
** quelli di Sale & Pepe mi ammazzano

Quando manca un minuto alla cottura, aggiungere le cozze e il cardamomo. Mescolare bene, in modo da amalgamare il tutto e servire.

Due cose:
- sono fra quelli che mettono il sale nel risotto. Prima che vi strappiate le vesti, ho il placet di Santin. Col brodo di pesce vado più cauta, ma tendenzialmente lo aggiungo

- non faccio nessuna mantecatura in presenza di pesce. sarò antiquata- anzi: lo sono di sicuro- ma ammetto i latticini solo in alcune occasioni (clam chowder e in alcune ricette di sogliole e crostacei)- e comunque mai il formaggio.
Facciamocene una ragione

Buon Appetito
Ale


martedì 9 marzo 2010

Raspberry Lemonade Bars





raspberry bars

Lunedì, 8 marzo 2009- festa della donna
Mentre festeggio pulendo una montagna di peperoni, squilla il telefono
"Pronto"
"Pronto, parlo con la signora Alessandra XXX?"
" Sì, sono io"- primo errore. Ma ormai è tardi, per rispondere che la Padrona non c'è
"Sono Samantha e chiamo da una importante ditta di cosmetici svizzera. Posso farle qualche domanda?"
"E come no?- mi dica"
"Che tipo di pelle ha? Grassa, secca o mista?"
"Secca"
Silenzio
Sospiro
Tono da funerale
"capisco...."
altro sospiro
" Mi può dire quanti anni ha?"
"44"
Silenzio
Sospiro
Tono da funerale
"capisco..."
"lei lo sa, vero, signora, che alla sua età una pelle come la sua non ha più scampo? E' aggredita dall'invasione dei liposomi, che la riempiranno di rughe- sempre che non le abbia già- e di zampe di gallina- sempre che non le abbia già- e le si inflaccidirà la pelle del collo, sempre che.."
La interrompo e decido di passare al contrattacco
"No, guardi, non è il mio caso. Io mi curo benissimo. Crema mattino e sera e tre volte alla settimana dall'estetista" (che intanto è mia amica e di certo mi terrà bordone- posto che si ricordi di me)
" E quali cosmetici usa?" Ach, ho beccato l'osso duro. Le sparo a caso due o tre marche, ma non basta: pare che le uniche creme che possano arginare lo sfacelo a cui sto andando incontro siano quelle svizzere. Che io, ovviamente, non ho. Ho una collezione di cosmetici da Cleopatra in poi, ma di svizzeri nessuna traccia. Per cui, alla fine, mi arrendo. Lascio che sciorini tutta una pappardella sui principi attivi, il collagene, il retinolo e miracoli vari, dopodichè le dico gentilmente che non sono interessata e riattacco.
Abbasso gli occhi e mi vedo riflessa sul coperchio della padella: due occhiaie da paura, colorito verdino, rughe che si illudono di essere d'espressione, guance cadenti e tutto quanto fa sterminio da liposomi.
Se mi telefonano da Lourdes, giuro che compro tutto


RASPEBERRY LEMONADE BARS

raspberry bars


La foto si ispira vergognosamente a questa qui, mentre la ricetta è qui e, stranamente, l'ho seguita alla lettera. Non c'è nessuna difficolà, se non nel taglio: ma se mettete in freezer la torta e poi la tagliate da semi congelata, vi vengono delle bars abbastanza regolati, come quelle della foto.

Dosi per una teglia quadrata di 20 cm di lato

Per la base
125 g di burro
50 g di zucchero
100 g di farina
1 pizzico di sale

Montate il burro con lo zucchero e aggiungete poi la farina e il sale.
Imburrate la teglia e foderatela con carta da forno, lasciandola trasbordare ai lati.
Con le mani infarinate, rivestite il fondo con l'impasto ottenuto (sarà molto morbido: io ho lavorato con il palmo della mano, infarinandolo spesso) e fatelo cuocere a 180 gradi per 20/25 minuti. Appena è leggermente dorato, è pronto
Lasciatelo raffreddare completamente e, nel frattempo, preparate il ripieno

290 g di zucchero
3 albumi
1 uovo
150 ml di succo di limone (circa 2 limoni medi)
la scorza grattugiata di 2 limoni
65 g di farina
150 g di lamponi (io ne ho messi 200 e secondo me ci vogliono, altrimenti sa troppo di limone)

Mettere tutti gli ingredienti, tranne i lamponi, in una terrina e mescolare, in modo che non si formino grumi. Setacciare i lamponi, raccogliere polpa e succo e aggiungerli al composto (io ho setacciato direttamente nel composto- una stoviglia in meno da lavare). Mescolare bene e versare il tutto sulla base. Dopodichè, infornare a 180 gradi per 30-35 minuti (ho usato la modalità ventilata, con un foglio di stagnola sulla superficie per gli ultimi 5 minuti
Sfornare e lasciar raffreddare benissimo
A questo punto, vi dico cosa ho fatto io: ho lasciato raffreddare per tre ore, poi ho preso la teglia e l'ho messa nel freezer, così com'era- con carta da forno e dolce- e ce l'ho tenuta per un'oretta. Dopodichè, l'ho tirata fuori, ho sollevato la carta da forno e ho messo il dolce su un tagliere, sempre senza togliere la carta da forno. L'ho lasciato 5 minuti a temperatura ambiente e poi l'ho tagliato, così come vedete nella foto.
splverare con zucchero a velo, far scongelare del tutto e servire.
Buon Appetito
Alessandra

RASPEBERRY LEMONADE BARS

raspberry bars




venerdì 5 marzo 2010

Foglie d'ulivo in salsa di pinoli - e come fu che lavammo la macchina




foglie d'ulivo

Ve lo ricordate il Tesoretto? No, non quello di ser Brunetto. Quello di Tremonti, avete presente? Che doveva essere il rimedio di tutti i mali e poi, sul più bello, era sparito?
Bene, l'ho ritrovato io. In monetine da 1, 2, 5 centesimi, tutti ammucchiati sul cruscotto della micra dalle solerte mani del benzinaio. Assieme a
1. un tubetto di burro di cacao, marca labello
2. una stecca di occhiali rossi da vista, marca ryban
3. un gambaletto color castoro, marca sìsì
4. un pennarello verde, scoppiato
5. un carnet di biglietti dell'autobus scaduti ( non timbrati, intendo: scaduti proprio- ora se ne usano degli altri)
6. un pennello per trucco
7. oltre a : tre forcine per i capelli, due elastici, di cui uno rotto e riannodato, un biglietto da visita di non so chi, con dietro tre numeri di telefono di non so chi, una matita ikea e, per finire, un mars, intonso.
Due note, per finire
a. ovviamente, è diluviato: fra il tiepido sole del martedì e quello del giovedì, mercoledì siamo improvvisamente regrediti a due mesi fa, con la piccola differenza che, stavolta, abbiamo affrontato fulimini e saette con gli impermeabili sottili "perchè tanto ormai l'inverno è finito"- e senza gli ombrelli rotti del bagagliaio
b. ho speso un fottìo. Mio padre non legge il blog, ma non si sa mai e quindi la cifra esatta non la saprete mai, ma voi immaginate l'equivalente di una ventina di colazioni (in pasticceria) o di un abbonamento annuale a una rivista di cucina (inserti compresi) o una seduta trucco & parrucco, nel salone più sciccoso della città (quello con Vanity Fair al posto di Novella 2000, per intenderci). Sono uscita che mi tremavano le gambe.Tanto che mi son chiesta se davvero ne era valsa la pena: avevo la macchina pulita, ma avevo perso due ore di lavoro; avevo il bagagliaio vuoto, ma ero bagnata fradicia; avevo trovato un tesoretto, ma avevo buttato via il decuplo dell'equivalente...
Meno male che c'era il mars.
E non chiedetemi dove ho buttato la carta...

FOGLIE D'ULIVO IN SALSA DI PINOLI



foglie d'ulivo al sugo di pinoli



Prima che mi pensiate competamente ammattita, le "foglie d'ulivo" in Liguria sono una pasta secca a base di spinaci: non si trovano proprio dappertutto- quelle della foto vengono da un frantoio di Bordighera- ma quando capita bisogna farne incetta, perchè, oltre ad essere buone, ammaliano i commensali.
La "morte loro" sono le tre classiche salse della tradizione genovese/ligure, vale a dire il pesto, la salsa di noci e la salsa di pinoli, come abbiamo avuto modo di ripassare (teoria, laboratorio e prova pratica: il massimo) sabato sera, grazie a Voiello e a Roberto Panizza.
Quelli in foto, che risalgono a qualche giorno prima dell'incontro, sono conditi con una salsa di pinoli assai meno raffinata di quella che ci è stato servito l'altra sera, perchè più grassa . La base, cioè, è diluita con olio e con una piccola aggiunta di panna, secondo la ricetta di casa mia. Panizza, invece, ha proposto la versione magra,solo con pochissimo olio.
Non vorrei sbagliare, ma nella ricetta originale dovrebbe esserci anche un cucchiaio di prescinseua, per dare ulteriore cremosità alla salsa
E ora che avete visto che le cose le so, vi metto la ricetta di casa mia, che rispetta la tradizione nello stesso identico modo di tutte le ricette di tradizione: ogni famiglia ha la sua e guai se si cambia.
Neanche a dirlo, le dosi non esistono: si parte da una base collaudata, e poi si assaggia e si aggiunge, a seconda dei gusti
Comunque, gli ingredienti indispensabili sono
pinoli (almeno 100 g)
mollica di pane ( un panino raffermo senza crosta)
latte (per ammollare il pane)
aglio (mezzo spicchio senz'anima, però mettetecelo, perchè ci va)
olio (solo ed esclusivamente EVO, meglio se delle nostre parti- comunque leggero)
sale
un po' di panna
Naturalmente, si fa tutto nel mortaio (...è il battutone del venerdì mattina...)

Ammollare la mollica nel latte.
Frullare i pinoli con l'aglio e il sale, aggiungere il pane ben strizzato e frullare di nuovo. Mettere il composto in una terrina e allungarlo con dell'olio, fatto scendere a filo: c'è chi ne mette di meno, chi ne mette di più: si va da un cucchiaio (per me troppo poco) a mezzo bicchiere (una follia): aggiungetelo poco per volta, incorporandolo delicatamente e quando arrivate ad una cremosità soddisfacente, fermatevi lì. In ultimo, aggiungete un cucchiaio di panna. Aggiustate di sale e conditeci la pasta. nello stesso modo in cui si condisce con il pesto: Prima si mettono due cucchiaiate di salsa sul fondo del piatto di portata, le si diluisce con due mestolini d'acqua della pasta e poi si procede con il condimento. Tutti gli altri metodi, son bufale
Buon Appetito
Alessandra