sabato 28 novembre 2009

Stufato di manzo alla Guinness




stufato di manzo alla guinnes



Sono stata in Irlanda vent'anni fa e da allora mi porto dietro il ricordo di un Paese commovente. Erano commoventi i dolci profili delle sue colline, i rosa dell'erica che spiccavano all'improvviso, il verde declinato in ogni sfumatura, gli specchi trasparenti dei suoi laghi, le ombre lunghe dei suoi castelli. Era commovente la dignità di un popolo allora ridotto in povertà, l'attaccamento profondo alle loro radici, la lezione di civiltà che impartiva difendendo ogni giorno, con orgoglio e fierezza, una libertà che costava fatica e sacrificio, ma che non sarebbe mai stata in vendita, per nessuno. Ed erano commoventi i suoi dolci, il profumo del burro degli scones, le sorprese nascoste sotto la crosta dei pudding, il pratie che ti si scioglieva in bocca, nel caldo delle sale da te.

L'unica nota stonata di una vacanza altrimenti perfetta fu un incontro ravvicinato e nefasto della sottoscritta con due irlandesi, sicuramente ubriachi e ancor più sicuramente rimbambiti, che mi confusero, in circostanze diverse e in luoghi lontani, con la Kelly Mc Gillis. Quella di Top Gun, per capirci, che all'epoca si vedeva su tutti i manifesti, in tailleur mimetico e make up da marines. Uno dei due tipi mi chiese l'autografo, l'altro mi rincorse per Grafton Street dichiarandomi che aveva visto tutti i miei film e che da allora popolavo tutti i suoi sogni, naturalmente erotici.
Prima che si scatenino gli ormoni della parte maschile dei lettori di MT, anticipo subito che io, della Kelly Mc Gillis, non ho assolutamente niente. Non il fisico, non il taglio del viso, non il naso, non il sorriso, nada de nada, insomma. Se fossi in vena di ironia, vi direi che, al massimo, mi avrebbero potuto confondere con la figlia di Fantozzi, ma siccome oggi non è giornata, vado oltre col racconto ( e se qualcuno si azzarda a dire che forse assomiglierei di più alla signorina Silvani, se non fosse che lei è bella magra, vi depenno dai venticinque lettori e non vi parlo più finché campo)
L'unico particolare che avrebbe, al limite, potuto dare adito a qualche vago sospetto potevano essere i capelli, che allora erano biondi e mossi: con la non lieve differenza che la Mc Gillis aveva riccioli che trasudavano di parrucchiere da tutti i pori, mentre i miei erano il risultato delle continue docce a cui l'Irish weather ci sottoponeva ogni giorno. Comunque sia, gli episodi si sarebbero arginati lì, se non fosse stato per quei deficienti degli amici di allora, che spero leggano questo blog, quel tanto che basta per rinverdire l'eco di tutti gli improperi che tirai loro dietro in quelle due settimane: i quali, non trovando sufficiente soddisfazione nel verde delle colline e nel blu dei laghetti (e neppure nei fiumi di Guinness e di Irish Coffee) ebbero la bella pensata di farmi passare davvero per la KellyMc Gillis, additandomi a tutti i passanti o inginocchiandosi ai miei piedi nel bel mezzo della strada. Il risultato fu che mi rovinarono completamente la vacanza, un po' per l'ansia di essere abbracciata e baciata ogni volta da perfetti sconosciuti da cui tentavo di difendermi e un po' per il timore che la Mc Gillis , quella vera mi denunciasse per oltraggio alla sua immagine- accusa dalla quale, ahimè, non ci sarebbe stata nessuna possibilità di difesa.


stufato di manzo all guinnes
Per ovvi motivi, negli anni avevo rimosso l'episodio, che invece mi è tornato in mente, l'altra sera, mentre preparavo questo stufato alla Guinnes, tratto da un delizioso libretto sulla cucina irlandese. E saranno stati i fumi dell'alcool, oppure i morsi della fame, oppure, più banalmente, il doppio degli anni che avevo allora ma, rivangando quei ricordi, ho cominciato a ridere come una scema, rivedendo le mie fughe, i baci spalmati sulle guance ogni secondo più rosse, gli amici piegati in due dalle risate. E, chissà perché, loro non mi sembravano più così deficienti, né io così incavolata, né i fans così inopportuni, né la vacanza così rovinata. Vedevo solo un gruppo di giovani scanzonati, pronti a godersi la vita con allegria, ignari dei problemi che li aspettavano dietro l'angolo- tutti, nessuno escluso. Ho spento il gas con un groppo in gola, gli occhi ludici dalle lacrime e tanta, tanta nostalgia nel cuore. L'Irlanda, ve l'ho detto, è un Paese che commuove, anche dopo vent'anni.


STUFATO DI MANZO ALLA GUINNESS

stufato di manzo alla guinnes
da Anne Wilson, Cucina Irlandese

per 4- 6 persone
1 kg di spezzatino di manzo
2 cucchiai di olio
2 grosse cipolle sminuzzate
2 spicchi d'aglio schiacciati
1/2 tazza di farina bianca
1 tazza di brodo di manzo
1 tazza di Guinness
2 grosse carote a fettine
2 foglie di alloro
1 ciuffo di timo fresco macinato
prezzemolo tritato per guarnire
facoltativo: 1/2 tazza di prugne secche snocciolate e tagliate a meta*

Riscaldate l'olio in un'ampia casseruola e fatevi dorare le cipolle. Aggiungete l'aglio e lasciate cuocere per un minuto. Estraete dalla padella e asciugate su carta assorbente
Nello stesso olio, aggiungete lo spezzatino e fatelo rosolare bene da tutti i lati, a fuoco alto. Abbassate la fiamma e, mescolando, aggiungetevi la farina.
Incorporate il brodo, amalgamando bene fino ad ottenere una salsa densa e liscia. Aggiungere la Guinnes e mescolate finché il composto comincerà a bollire. Aggiungete le cipolle, l'aglio e le carote, le erbe e il pepe e mescolate di nuovo.
Lasciar cuocere a fuoco basso per 1ora e mezza, mescolando ogni tanto per evitare che si attacchi. Nel caso, aggiungere un mestolo di brodo.
Togliete il coperchio l'ultima mezz'ora, per fare addensare la salsa
Servite spolverizzato di abbondante prezzemolo

* l'aggiunta delle prugne serve per moderare il gusto amaro della Guinnes, Vanno aggiunte solo durante gli ultimi 30 minuti di cottura
Buon Appetito
Alessandra

venerdì 20 novembre 2009

CROSTATA RICOTTA E WHISKY



La crostata più buona che c'è.
Punto

crostata ricotta e whisky


per 10 persone

per la base
3 hg di ricotta
3 hg di farina 00
250 g di burro (proh dolor)*
1 cucchiaio di zucchero

per il ripieno
400 g di ricotta
400 di zucchero a velo (potete scendere fino a 300)
2 tuorli piccoli
whisky (almeno mezzo bicchierino)


Preparare la base come una normale frolla, mescolando tutti gli ingredienti e lasciar riposare per un'oretta in frigo.
Per il ripieno, montare la ricotta con lo zucchero, aggiungere i tuorli uno ad uno, sempre montando e infine il whisky.
Con 3/4 della pasta rivestire uno stampo da crostata imburrato ( dai 26 ai 28 cm di diametro), riempirlo con la crema ( potrebbe avanzarne un po') e con il resto della pasta fate la griglia
In forno a 180 gradi per almeno 30 minuti.
Sformarla da fredda e spolverizzare con zucchero a velo
E' migliore il giorno dopo

crostata ricotta e whisky

Due o tre consigli
* proh dolor non è la marca del burro: è il mio grido di dolore, di fronte a questa quantità. Ma cosi come per essere belle bisogna soffrire, per essere buone bisogna avere dei grassi. E per essere la più buona del mondo....

il riposo della pasta è essenziale. Il mio consiglio è di stenderla nella tortiera appena impastata e solo allora di metterla in frigo: altrimenti, se la rimanipolate per rivestire la tortiera, scaldate di nuovo il burro e siamo daccapo

per la ricotta, è meglio quella romana: però, se non siete troppo schizzinosi, anche quella del banco frigo è ok

è possibile che vi avanzi un po' di composto: rassegnatevi a mangiarvelo a cucchiaiate, perché è un'ottima crema da dessert

Cottura:
come sempre, dipende dal vostro forno. Siccome il ripieno è umido, è possibile che la frolla non vi cuocia bene: quindi, fate una cottura in bianco di una decina di minuti e poi riempitela e procedete per circa mezz'ora
se invece avete un super forno, infornate tutto insieme.
Il tempo di cottura può variare dai trenta ai quaranta minuti. Controllate il bordo della frolla e cercate di non farlo scurire troppo. Di solito, è indispensabile mettere il foglio di alluminio sulla superficie perché non si scurisca troppo, specialmente se dovete prolungare la cottura oltre la mezz'ora indicata
Come per la stupendissima, non preoccupatevi se quando esce dal forno il ripieno non si è ancora solidificat: lo farà stando all'aria.
Al pari di tutte le crostate, anche questa è migliore il giorno dopo: ma, come per la stupendissima, il problema è resistere...
Buon Appetito
Alessandra



crostata ricotta e whisky


giovedì 19 novembre 2009

Cosciotto di Agnello alla fornaia




agnello alla fornaia


Oggi devo chiedervi un favore
Prima che iniziate a leggere questo post
Prendete una sedia
Mettetevi comodi
I piedi appoggiati sul pavimento
Le mani strette sui braccioli
Pensate a qualcosa di positivo
Respirate lentamente
Perchè
Sto per rivelarvi
Il Grande Battutone del marito
Riferito alla mia infinita bontà
Che mi induce
Ogni volta ogni due settimane
A vincere la mia avversione per la carne di agnello
E a prepararlo per soddisfare
I barbari appetiti suoi e della creatura
Per cui
Se siete pronti
Nuntio vobis
Urbi et Orbi
Che ieri è stato
........................
.......................
.......................
L'AGNUS DAY

E su questa, parto con la ricetta, sempre che abbiate deciso di proseguire- con la lettura e con la frequentazione di questo blog...

Baker's style Legs Lamb

agnello alla fornaia

Piatto di origine francese, deve il suo nome al fatto che, anticamente, lo si faceva cuocere dal fornaio

per 4 persone
1 cosciotto di agnello di 1,2 kg
600 g di patate tagliate a spicchi
100 g di strutto fresco
2 cipolle di media grandezza, tagliate a fette
rosmarino
sale e pepe abbondante

Condite il cosciotto con sale fino ed abbondante pepe nero, macinato al momento. Ungetelo uniformemente di strutto e ponetelo in una pirofila con il grasso rimasto. Passatelo quindi in forno a calore vivo, roslandolo bene da ogni lato (240 gradi).
Abbassate a 180 e, dopo mezz'ora, aggiungete le patate e le cipolle, precedentemente condite con sale e pepe e terminate la cottura in forno, bagnando spesso con il condimento la carne e le verdure.
Per tradizione, si dovrebe servire nello stesso recipiente di cottura

Le nostre modifiche:
  • niente strutto: solo olio ( altro strappo alla regola: di solito, se si vuole sostituire lo strutto, almeno un po' di burro bisognerebbe metterlo, ma NOI NO)
  • il rito dell'unzione è durato molto, ma molto di più di quanto si possa evincere dalla ricetta: all'incirca, tutti gli Assiri ( leggasi: la creatura stava ripetendo storia)
  • anche se la ricetta non lo dice, ho praticato tre o quattro tagli trasversali, dove ho infilato il rosmarino e, ad abundantiam, anche un po' di timo
  • la cottura può avvenite in due modi: o quello segnalato dalla ricetta, più rapido (un'ora e mezza, circa) o quello adottato da noi di recente, a fuoco più basso e senza rosolatura (160 gradi, dalle 2 ore e mezza alle 3 ore e mezza). Il primo vantaggio della cottura lenta è che uno se lo può anche dimenticare, l' agnello nel forno, che intanto non succede niente- e non è neppure così indispensabile bagnarlo. Il secondo è che, a nostro parere, queste temperatura fanno sì che la carne rilasci i suoi succhi in modo meno traumatico e anche senza il conforto della scienza, vi posso dire per esperienza che, cotti in questo modo, i pezzi grossi di carne sono molto più teneri e sugosi.
  • per quanto riguarda il fondo di cottura, non è detto che sia "ottimo e abbondante": dipende dalla qualità dell'agnello. Se non ce ne dovesse essere a sufficienza, di solito si dovrebbe bagnare la carne con del brodo. Noi, stavolta, a tre quarti della cottura, abbiamo irrorato con una generosa spruzzata di brandy e la trasgressione si è rivelata vincente, anche perché il pezzo d'agnello non era roba per signorine, tutt'altro: fino all'assaggio, sono rimasta nel dubbio che si trattasse di una capra...
  • P.S. ho eliminato le cipolle, questa volta, perché mia figlia non le mangia. Superfluo dire che con le cipolle è migliore
Buon Appetito
Alessandra



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martedì 17 novembre 2009

crema di zucchette trombetta con seppie al nero e scorzette di limone candito (F.Costa)




crema di zucchine trombette con seppie al nero e scorzette di limone candito

Prima di riuscire ad ottenere questa foto, ho dovuto penare parecchio: mio marito, infatti, sosteneva che non era questo il set adatto e che, per un piatto del genere, ci voleva qualcosa di più tradizionale e raffinato: le tazze da brodo del servizio buono, per esempio, o anche le fondine a forma di disco volante o, al limite, le coppe da martini: ma le ciotoline colorate, per giunta di plastica, questo proprio non riusciva a tollerarlo. Io, invece, volevo proprio una foto così, volutamente minimal, volutamente sgarruppata, volutamente fuori luogo. e questo perché la ricetta di oggi non è una ricetta come tutte le altre che sono passate di qui- ma si porta dietro una storia vera, di quelle che piacciono a me: lontana dai riflettori e dai toni enfatici ed urlati e tenuta dentro le righe del garbo, della misura, dell'umiltà che spesso, in un ambiente dove la ribalta viene conquistata a suon di sgambetti e sgomitate, è il marchio di fabbrica di chi bravo lo è - e per davvero.
Il protagonista è Flavio Costa e lo scenario è l'Arco Antico, un piccolo ristorante alla periferia di Savona, infossato fra il centro commerciale e un gruppuscolo di case che ancora resistono al freddo dilagare di architetture di giorno in giorno sempre più alienanti: un posto, insomma, dove tutto ci si aspetterebbe di trovare, fuochè una stella michelin.
Flavio costa, invece, l'ha presa. Ce l'ha fatta da solo, con la mamma che lo aiuta in sala, una brigata ridotta all'osso dietro le quinte, una cantina di qualità, ma con poche etichette e, soprattutto, con un locale lontano mille miglia dall'eleganza snob degli altri locali illuminati dall'astro della Rossa. E il merito è di una cucina strepitosa, che innova senza stravolgere, che recupera senza scadere nella noia e che ha un approccio onesto e coraggioso al territorio, che restituisce un senso ad un'etichetta altrimenti abusata e fatua: il "territorio" di Flavio è quello del Ponente ligure- vale a dire, povero per definizione. Ed è qui che lo chef gioca la sua partita più importante, sfruttando con la sua abilità una partenza ad handicap, che non gli permette di avere profumati tartufi o maialini da latte nella cesta della spesa. Ed è qui che si vede la sua grandezza, il suo estro, il suo genio. Il tutto vissuto con l'esemplare umiltà di chi continua ad amare il proprio lavoro sul campo, con levatacce mattutine e notti che si abbreviano ogni volta di più, con la ricerca garbata della soddisfazione del proprio cliente, con la fantasia della carta e l'onestà dei prezzi e, non ultima, l'attenzione gentile riservata a tutti i suoi ospiti- perché tali ci si sente, anche al momento del conto

crema di zucchette trombette con seppie al nero e scorzette di limoni candite

Questa crema di zucchette trombetta è l'emblema della cucina di cui vi ho appena parlato: un prodotto di territorio, dal carattere non sempre esaltante ma che in questa straordinaria combinazione di sapori, consistenze e profumi tocca vertici altrimenti inimmaginabili.
Non so come, ne ho recuperato la ricetta e ho provato a prepararla, pesando ingredienti come se fossimo dal farmacista e seguendo alla lettera tutti i passaggi. Il risultato, per quanto eccellente, è stato comunque anni luce lontano dall'originale ed è per questo che ho insistito perché venisse fotografato così, fra lo scanzonato e il minimale: perché si sappia, se mai ce ne fosse ancora bisogno, che gli chef non abitano qui e che, se omaggio deve essere, non può essere altro che un semplice divertissement, inteso nel vero senso del termine: una "stortura" gastronomica, nella tecnica, nella qualità degli ingredienti, nell'abilità della cuoca e nel risultato finale, che nulla toglie alla eccezionalità del piatto e del suo creatore

CREMA DI ZUCCHETTE TROMBETTE CON SEPPIE AL NERO E SCORZETTE DI LIMONE CANDITO
(da Melucci, V- La Cucina Ligure di Mare- Newton Compton Ed)


crema di zucchette trombette con seppie al nero e scorzette di limoni canditi


Ingredienti per 2 persone
500 g di zucchette trombette
200 g di seppie con il nero
100 g di olio EVO
100 g di acqua
100 g di zucchero
1 limone non trattato
1 porro

Pulite le zucchette, tagliatele a rondelle possibilmente delle stesse dimensioni e mettetele a bollire in acqua bollente. Pulite le seppie e tagliatele a dadini. Mondate il porro e affettatelo sottile, quindi fatelo soffriggere in un tegame con qualche cucchiaiata di olio. Aggiungete le seppie, fate rosolare qualche minuto e bagnate con il nero delle seppie frullato con poca acqua. Regolate di sale e fate cuocere per circa 20 min a fuoco basso. Con l'aiuto di un pelapatate sbucciate un limone evitando la parte bianca e amara, quindi tagliate la scorza a listarelle sottili. Fatele sbollentare e scolatele. Stemperare lo zucchero nell'acqua per ottenere uno sciroppo, portatelo a bollore e fatevi cuocere le scorzette per circa 8 minuti o fino a quando non saranno diventate trasparenti. Passate le zucchette trombette in un mixer con un bicchiere di olio sino ad ottenere una purea omogenea e aggiustate di sale. Mettete la crema in una fondina, disponetevi in mezzo le seppie nere e completate con 2 scorzette di limone e con un filo di olio
Buon Appetito
Alessandra


lunedì 16 novembre 2009

Risotto alle nocciole e al Castelmagno




risotto nocciole e castelmagno

Tanto per mantener fede alla tradizione che vuole che in questo blog si facciano gli auguri ai cari amici vicini e lontani, festeggio oggi con voi il primo compleanno della mia sesta vertebra dorsale rotta. La quale, ovviamente, ha più bisogno di auguri dell'universo mondo messo insieme, date le nefaste conseguenze a cui mi esporrebbe un suo improvviso cedimento. Me lo ha fatto notare lei stessa ieri sera quando ha deciso di risvegliarsi dal letargo, forse timorosa che dimenticassi di festeggiare la ricorrenza: e quindi, siccome di cene a crackers e biscotti ne abbiamo avuto abbastanza l'anno scorso e una madre/moglie che sembra Tutankamon con le nausee non è il massimo della vita, è meglio che mi affretti a placarla, invitando tutti ad intonare un bel "tanti auguri a te"propiziatorio, con tanto di corna, cornini et similia- e pazienza se di norma ce la tiriamo da spiritualmente evoluti. Provate ad avere mal di schiena e poi ne riparliamo...


RISOTTO ALLE NOCCIOLE E AL CASTELMAGNO
da Sale&Pepe
Novembre 2009


risotto nocciole e castelmagno

Premessa: a me il Castelmagno non piace. O meglio: non piace più. Lo trovo insulso, "nescio" scipito e ogni volta mi chiedo dove sia andato a finire quel grandioso formaggio che mi aveva conquistato anni fa. Qualche indizio mi è stato dato di recente, ad una cena dell'Accademia Italiana della Cucina (mio suocero ne è membro) quando, parlando del classico passo più lungo della gamba, si è fatto proprio l'esempio del Castelmagno. Pare infatti che, sulla scia dei primi entisiasmi successivi alla scoperta di un prodotto fino ad allora ritenuto "di nicchia", i produttori abbiano esteso a tal punto il raggio di vendita che, dopo pochi anni, non sono stati più capaci di reggere la domanda. I tempi di stagionatura, infatti, sono quelli che sono e francamente se ne fregano se negli Stati Uniti hanno ordinato 10mila forme o l'ultimo stellato esige una fornitura regolare ogni mese. E così, il prodotto destinato alla grande distribuzione è gioco forza sceso di qualità, come dimostra il mio pezzo di Castelmagno che era del tutto insapore.- e anche inodore: come si sa dai tempi di Tre Uomini in Barca, infatti, i formaggi più sono buoni, più puzzano, ahinoi. Questo non significa che tutto il Castelmagno sia deludente come quello che è toccato a me, tutt'altro: esistono (e resistono) ancora i piccoli produttori che, in barba a facili guadagni, rispettano ancora le antiche ricette e gli antichi metodi di stagionatura. Per cui, prima dell'acquisto, accertatevi della qualità del prodotto e chiedetene un assaggio al salumiere, oppure, se avete la fortuna di passare da quelle parti, fatevene una bella scorta. E pazienza se dovrete stare in apnea ogni volta che entrerete in cantina o aprirete la porta della dispensa: alla prova del gusto, passerà tutto in secondo piano.

Ingredienti
300 g di riso Carnaroli
100 g di nocciole toste e tritate
50 g di nocciole tostate intere
1 cipolla piccola
250 g di Castelmagno
meggiorana
burro

Se volete provare il metodo di Allan Bay, andate qui e seguite tutti i passaggi alla lettera. Altrimenti, procedete come un normale risotto.

Far stufare nel burro una piccola cipolla tritata e, quando è trasarente, aggiungete i 100 grammi di nocciole tritate. Fate insaporire. Aggiungete poi il riso, fate tostare a fiamma alta per 3 o 4 minuti e coprite poi con il brodo, aggiungendone altro, a mano a mano che il riso lo assorbe. Quando mancano 5 minuti alla fine della cottura, aggiungete i tre quarti del Castelmagno tritato e mescolate, in modo da amalgamarlo bene al resto del riso. A questo punto, assaggiate e, se è il caso, regolate di sale. Poco prima della mantecatura, aggiungete le nocciole intere. Quando il risotto è pronto, mantecate con una noce di burro e con il resto del formaggio: spegnete la fiamma, aggiungete questi due ingredienti, incoperchiate e lasciate riposare per tre minuti. Date poi un'ultima mescolata e servite subito.


Modifiche mie

  • ho eliminato la maggiorana e non l'ho sostituita con niente: il contrasto fra il pungente del Castelmagno e il dolce delle nocciole non deve essere "distratto" dal altri sapori
  • ho aggiunto del Parmigiano grattugiato, per insaporire: se avete un Castelmagno così e così, è un ottimo espediente
  • la foto che vedete, si riferisce al primo tentativo, quando mi sono attenuta (più o meno) alle dosi: la seconda volta, al corso di cucina, ho aumentato di 50-70 g la dose di formaggio e il risotto si è "legato" di più e meglio
  • al corso di cucina ho usato l'olio d'oliva come base di partenza: non lo avrei fatto, se non ci fosse stata una allieva (oltretutto carissima) intollerante ai latticini, a cui poi avrei dovuto dare una porzione senza formaggio. Invece, i risultati sono stati comunque soddisfacenti.
  • la ricetta dice di far tostare le nocciole: io le compro già tostate, per ovvi motivi di tempo e praticità: se però riuscite a farlo da soli, ci si guadagna in gusto
Buon Appetito
Alessandra

English Version





risotto nocciole e castelmagno


venerdì 13 novembre 2009

Comfort Soup




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E' più o meno da quando MT è on line che in molti ci chiedono stupiti come facciamo a reggere questi ritmi e soprattutto quanto cuciniamo.

Alla prima domanda, la risposta è facile: siamo in due e quindi è come se postassimo un giorno sì e un giorno no, come accade a moltissimi blog di cucina. Lo si fa senza fatica ed anzi, non ho alcuna remora a dirvi che una mezz'ora qui sopra è inifinitamente più benefica che starsene davanti alla televisione e più rilassante di un aperitivo con il bicchiere in una mano e l'orologio nell'altra, a ricordarti che il dovere ti chiama e ogni secondo che passa, urla più forte.

Sulla seconda domanda, invece, ho qualche remora in più, perché, a ben guardare, mi tocca fare outing: il che, dopo soli sei mesi, potrebbe non essere prudente. Ma siccome ho sempre detestato essere la prima della classe e la reputazione, comunque, qui sopra me la sono già rovinata abbastanza, tanto vale che vi dica che, per quanto mi riguarda, io cucino solo nel week end. E quindi, le ricette che su queste pagine vengono spalmate nel corso della settimana, nella realtà si concentrano al sabato e alla domenica, quando ho più tempo per scartabellare riviste, stare ai fornelli e ammannire il maritoshop, promettendogli che, questa volta, impiegheremo poco tempo per la foto e di sicuro mangeremo tutto caldo.

Dal lunedì al venerdi, invece, mi arrabatto, come si dice a Genova, costretta a districarmi fra lavoro, casa, famiglia e impegni vari, alla stregua di tutte le "donne in cOrriera" che conosco. E quindi, tempo per cucinare non ce n'è e, onestamente, manca anche la voglia, sepolta com'è dall'incombenza della pratica da smaltire o dalla poco allettante prospettiva di dover riordinare la cucina. Il pranzo è veloce, un tramezzino al bar se sono da sola, una bistecca o un'omelette se c'è anche la figlia: e ben vengano le trofie comprate dal pastaio o l'ultimo pollo arrosto, arraffato in zona Cesarini, quando la serracinesca del pollivendolo è già arrivata a metà: non saranno il massimo, ma in quelle circostanze sono strabenedette. Per cena le cose migliorano- ma anche no: il "servizio taxi" a cui mi riduce il multiforme impegno della creatura a volte si protrae fin oltre le otto di sera, senza contare gli orari altalenanti del marito, ora vittima del protrarsi di una riunione, ora eroe sul campo nel Mercoledì di Coppa con gli ex colleghi.

Tuttavia, un'ancora di salvezza sempre valida sono le vellutate: un po' perché piacciono a tutti, un po' perché si scongelano con facilità e un po' perché si prestano a tante variazioni sul tema, per cui quella che una settimana prima era una normale zuppa di patate diventa un piatto da chef con l'aggiunta di porcini trifolati, e una banale zuppa di carote può assurgere addirittura alle vette della celeberrima zuppa CAZ, se arricchita di zenzero e buccia d'arancia.

Lo confermano queste due confortevoli vellutate che ci hanno riscaldato in queste sere, dove il broccolo si sposa alla zucca e la zucca al sesamo nero, in un felice incontro di sapori che ha avuto il pregio di far sembrare meditata e sofferta una cena in realtà improvvisata in pochi minuti, ma che ha zittito il marito -miracolo- e ha spinto la figlia a chiedere un bis- miracolo alla enne. Per cui, ve le "giro" stamani, con la complicità di chi vi sta passando un'informazione segreta e la certezza che vi caverà più volte dall'impiccio.
E se non diventerò mai una vera food blogger, ce ne faremo una ragione...

VELLUTATA DI BROCCOLI CON ZUCCA



zuppa di broccoli con zucca

Ingredienti per 6 persone
1 kg di broccoli
2 patate medie
1 scalogno
250 ml di brodo vegetale
300 ml di latte ( anche un po' di più)
1 pezzetto di zucca
olio
sale

Pulite i broccoli, lavateli bene e metteteli a cuocere in una pentola con acqua salata. Calcolate una decina di minuti dal bollore e non preoccupatevi se li scolerete prima che siano teneri, perché intanto devono farsi un secondo passaggio in padella
Mondare lo scalogno e tagliarlo a pezzettini. Sbucciare le patate, lavarle, asciugarle e tagliarle a cubetti. In una casseruola capiente fate soffriggere a fuoco basso lo scalogno e poi aggiungete le patate. Insaporite con il sale, coprite con un mestolo di brodo, incoperchiate e abbassate la fiamma. Dopo 5 minuti, aggiungete le cimette dei broccoli, aggiungete il resto del brodo e proseguite la cottura, sempre a fuoco basso, fino a che le verdure sono tenerissime e quasi si spappolano sotto il cucchiaio.
A questo punto, si spegne il fuoco e si frulla- o con un frullatore ad immersione oppure direttamente nel frullatore: l'essenziale è che si ottenga una purea densa e liscia
Rimettete sul fuoco ed allungate con il latte. Aggiustate di sale.
Nel frattempo, si taglia la zucca a fettine e la si fa "brasare"*in una padellina antiaderente (precisazione importante: per bieche esigenze fotografiche- la zucca brasata, a contatto con la superficie dell vellutata si ammosciava e andava a picco- noi abbiamo usato della zucca cruda. Voi fatela brasata e non preoccupatevi di niente: un conto è passare dala cucina alla sala da pranzo, un altro è aspettare la posa e la luce giusta etc etc. )
Appena la vellutata inizia a bollire, spegnete il fuoco e versarla nei piatti individuali, decorata con fettine di zucca.
Servite subito
*passatela in una padella antiaderente con pochiccimo olio, fin quando non prende una crosticina scura

CREMA DI ZUCCA AL SESAMO NERO

vellutata di zucca con sesamo nero


400 g di zucca mondata
1/2 cipolla tritata
1 patata di media grandezza
250 ml di brodo vegetale (circa)
200 ml di panna fresca non montata ( o latte intero, se preferite una versione più leggera)
sale
sesamo nero

Il procedimento è molto simile alla ricetta precedente, con la differenza che la zucca non ha bisogno di nessuna cottura preliminare: la si taglia a fettine sottili e si mette tutto in padella (cipolla tagliata, zucca e patate a cubetti), con due o tre cucchiai d'olio. Si sala, si lascia insaporire, poi si abbassa il fuoco, si copre col brodo e si porta a cottura. Rispetto ai broccoli, la zucca "dà più acqua", quindi non eccedete con il brodo. Quando vedete che è cotta, passatela al frullatore e poi di nuovo sul fornello, allungando, questa volta con la panna. Aggiustate di sale Appena si accenna al primo bollore, togliete immediatamente dal fuoco, versatela nei piatti e servitela, con una spruzzata di sesamo nero.
Entrambe le zuppe sono buone anche tiepide e non sfigurerebbero in una cena in piedi, come preliminari al piatto caldo
Buon Appetito
Alessandra







lunedì 9 novembre 2009

soufflè di tagliolini




Vi è mai capitato di fare, per abitudine, qualcosa che si differenzia dai comportamenti consueti e di non esservene mai resi conto, se non quando qualcuno ve lo fa espressamente notare? A me sì, e pure parecchie volte. Si va da cose importanti, come gli orari e i ritmi lavorativi (comincio prima e concentro in una mattinata quello che i miei colleghi abitualmente diluiscono in più giorni) a cose più banali, come il mio modo di scrivere la q minuscola, più simile ad un phi greco che non al nostro alfabeto. In ogni caso, però, le costanti sono sempre due: da una parte ci sono io, che agisco in modo inconsapevole, assecondando buona parte di quello che la mia indole "mi ditta dentro"; dall'altra, c'è il disorentamento di tutti gli altri, che vedono compormesso l'ordine che deriva da abitudini collaudate e quindi confortanti.
Tuttavia, finché qualcuno non mi fa notare che sono di nuovo partita per la mia tangente (o "tangenziale" come diceva una mia amica, anche qui in modo del tutto inconsapevole), io non mi accorgo di quanto certe mie abitudini possano essere un po' destabilizzanti per chi, invece, è giustamente abitutato a seguire le regole.
Ultimamente, questo mi è successo con le ricette: che io, ovviamente, non seguo mai alla lettera, ma "interpreto" via via. Naturalmente, parto sempre col piede giusto, il testo sacro aperto sul leggio, gli ingredienti pesati sul piano di lavoro e la fiducia cieca in quello che leggo: poi, in itinere, mi perdo . Il problema dov'è, direte voi? In fondo, non tutti seguono le ricette fino alla fine (mia madre, per esempio, non lo ha mai fatto in vita sua, e i risultati le hanno sempre dato ragione), ma le adattano a seconda delle loro esigenze e i loro gusti.
Solo che, magari, hanno l'accortezza di annotarsele, 'ste benedette modifiche o, quanto meno, ricordano di averle fatte. Io, invece, no. E' come se, ad un certo punto, venissi presa da una specie di ispirazione ( invasamento, direbbe il marito), per cui cambio tutto e poi me ne scordo, con grave danno per me e soprattutto per i malcapitati a cui passo le ricette che, neanche a dirlo, vengono diligentemente copiate ogni volta dai libri che le hanno riportate. Ovviamente, come dicevo, non me ne sono mai resa conto, tanto è radicata in me questa abitudine: e ci sono voluti due interventi, l'uno di seguito all'altro (il primo sul forum di CI, il secondo durante il corso di cucina di venerdì sera) per farmi realizzare che, in cucina, predico bene e razzolo male.
Ne è un valido esempio questo soufflè, che è una delle poche preparazioni a cui ricorro di frequente, per il solito discorso del "massimo risultato col minimo sforzo" ( che da me si traduce in "porca figura con scasre difficoltà"), a cui ho apportato tante e tali di quelle modifiche che ormai non si contano più. Però siccome mi riesce bene ogni volta- e siccome l'ho preparato l'altro ieri, quindi, per così dire, sono fresca di studi- vi riporto la ricetta, prima nella versione ortodossa e poi in quella eretica a cui l'ho colpevolemente ridotta. Prima che me ne dimentichi, ovcours...




SOUFFLE' DI TAGLIOLINI ORTODOSSO
( da Sale&Pepe, Gennaio 2001)

per 4 persone
250 g di tagliolini freschi all'uovo
1,5 dl di panna fresca
un limone non trattato
burro
un bicchierino di vodka ( o di grappa)
2 uova
4 cucchiai di parmigiano grattugiato
2 cucchiai di uova di lompo rosse (o di caviale)
sale e pepe

Scaldare il forno a 200 gradi. Mettete la panna in una casseruolina con la vodka il succo e la scorza grattugiata del limone e fate scaldare a fuoco dolce. Togliete la salsa dal fuoco prima che arrivi ad ebollizione, incorporate i tuorli e il parmigiano grattugiato, regolate di sale e pepate. Cuocete i tagliolini in abbondante acqua bollente leggermente salata, scolateli piuttosto al dente e conditeli con la crema preparata. Montate gli albumi a neve con un pizzico di sale e incorporateli delicatamente al composto di tagliolini. Distribuite la pasta in 4 pirofiline imburrate e cuocete in forno per 10-15 minuti; cospargete la superficie con le uova di lompo o il caviale e servite.

SOUFFLE' DI TAGLIOLINI ERETICO




  1. aumento gli albumi da 2 a 4
  2. li monto a neve densissima
  3. che al posto della vodka ci si possa mettere la grappa, me ne sono accorta solo adesso, dal lontano 2001
  4. ma intanto, non metto la vodka
  5. riduco il succo di limone e aumento la scorza grattugiata
  6. il parmigiano, anche no
  7. cottura a forno statico
  8. fino a quando non sono belli gonfi ( nel mio forno, sicuramente più del tempo indicato)
  9. quando sono belli gonfi, mi inginocchio davanti allo sportello del forno ( questo è fondamentale, a i fini della buona riuscita del soufflè) e insieme alle accorate preghiere perché non si ammoscino, sorveglio ancora per qualche minuto la cottura
  10. detesto le uova di lompo e il caviale non ce lo vedo per niente: per cui, li servo lisci, come da immagine
Alla fine il risultato è quello che vedete in foto e, particolare non secondario, a differenza dei suoi simili, non si ammoscia subito: prova ne è che è stato in posa per un bel po', prima che il marito trovasse l'inquadratura giusta, senza scomporsi un attimo- e chisseneimporta se ci son cascata anche stavolta...
Buon Appetito
Alessandra






venerdì 6 novembre 2009

filetto di maiale con salsa all' Earl Grey Tea




filetto di maiale all'earl grey


Giornata tipo della sottoscritta
ore 6.00 sveglia: mi alzo, metto su l'acqua per il tè e spedisco la ricetta ai fans
ore 6.15: sveglio la creatura, che deve alzarsi mezz'ora prima perché, tanto per cambiare, non ha fatto i compiti di latino
ore 6.20: la creatura si alza dal letto.
ore 6.23: la creatura apre gli occhi
ore 6.25: brucia il pentolino del tè
ore 6.30: la creatura dice che se prima non fa colazione, non le viene l'ispirazione per fare i copmpiti
ore 6.45: la creatura viene mandata sonoramente a quel paese, all'ennesima richiesta
di "ancora due biscotti"- nel frattempo, svuoto la lavastoviglie e sistemo il contenuto, "gratto" il pentolino, controllo se continuano i rantoli del marito moribondo ( ha 36.7 di "febbre") recupero il libro di latino e lo schiaffo direttamente sulla chiazza di latte della colazione della figlia
ore 7.15: i compiti di latino finiscono, assieme alla mia voce, e la creatura mi annuncia che, siccome è in ritardo, non può prendere l'autobus nemmeno oggi
ore 7.16: chiedo al marito se, mentre va in ufficio, può accompagnare la figlia a scuola, ma il marito mi informa che non è in condizione di muoversi, visto che stanotte ha tossito per due volte e si è soffiato il naso per tre-senza che io mi alzassi per soccorlerlo
ore 7.17: apro il ribinetto della doccia
ore 7. 19: esco dalla doccia, urlo alla creatura di sbrigarsi, mi vesto alla velocità della luce e mi imbatto nella figlia che, in pigiama, manda sms a tutto il mondo- perché è scattato il minuto in cui vodafone te li dà gratis e guai a non cogliere l'attimo
ore 7.25: riempio la lavastoviglie, rassetto la cucina,scopo per terra, bagno le piante
ore 7.28: la creatura esce dal bagno
ore 7.40: inizia l'attraversamento di mezza genova- l'ho voluta la scuola seria? e adesso pedalo...
ore 7.40: iniziano le lamentazioni della figlia per problemi di cuore
ore 7.59: la figlia mi annuncia che i problemi di cuore potrebbero finire se oggi alle 2 e mezza si trovasse all'altro capo della città " ma come faccio ad andarci, che c'è sciopero degli autobus??? mamma, ti prego, non deludermi anche tu!"
ore.8.20: rientro a casa e preparo le basi per il corso di cucina di stasera
ore. 9.30: pulisco la cucina
ore 9.50: inizio a stirare
ore 10. 25: chiama il Mega Professore che mi sollecita a consegnargli un lavoro, commisionato una settimana fa
ore 10.30: chiama la segretaria, che mi annuncia che il Mega Professore deve consegnare un lavoro da 6 mesi e abbiamo tutto bloccato
ore 10.31: brucio il copriasse comprato l'atro ieri
ore 10.33: accendo il pc. Il moribondo, accanto a me, mi dice affranto che sta aspettando un tè da due ore.
ore 10.40: torno al pc, per sentire le recriminazioni del moribondo , perché ieri sera gli ho impedito di andare allo stadio e "cosa mi importa se c'era un nubifragio e avevo la febbre" ( 36.8)
ore 10.41: spengo il pc
ore 10.43: metto su l'acqua per il pranzo ( soufflè di tagliolini)
al momento, devo ancora
1.scrivere almeno 5 pagine del lavoro
2. rassettare la stireria e trasformarla nell'aula per il corso di cucina
3.finire di scrivere le dispense del suddetto corso di cucina, impaginarle, stamparle e rilegarle
4. finire di preparare il pranzo
5. infornare il soufflè
6. correre a prendere la creatura che esce da scuola all'una
7, tornare a casa in venti minuti, prima che il soufflè si ammosci
8. pulire la cucina
9. portare la creatura all'appuntamento
1o. fare un salto in ufficio
11. comprare il castelmagno- senza il quale niente piatto forte del corso
12. tornare a prendere la cratura
13. farle fare i compiti
14. fare il corso di cucina
Tutto questo per dirvi che oggi sul blog non scrivo un bel niente, perché per farmi venire l'ispirazione, non ho tempo...


filetto di maiale all'earl grey

Filetto di maiale al tè al bergamotto
(da Sale e Pepe, Nov. 2009)
per 4 persone
800 g di filetto di maiale
un cucchiaino di tè al bergamotto
3 chiodi di garofano
120 g di prosciutto
un mazzetto di salvia
mezzo cucchiaino di fecola (anche uno)
2 dl di vino rosso
30 g di burro
sale e pepe

Scaldate mezzo bicchiere d'acqua con i chiodi di garofano e lasciate in infusione il tè per 3 minuti, quindi filtrate e unite il vin: versate il liquido sul filetto e lasciate marinare per 30 minuti. Sgocciolate la carne dalla marinata, tamponatela con la carta assorbente, salatela poco, pepatela e avvolgetela con le fette di prosciutto. Rosolate il filetto in un tegame con il burro, quindi trasferitelo nel forno a 170 gradi, unite la salvia e cuocetelo per altri 30 minuti, coprendo il recipiente con un foglio di alluminio. Intanto, stemperate la fecola con un po' di marinata, diluitela con il resto del liquido e fatela restringere nel tegame in cui avete rosolato il filetto. Servite l'arrosto con questo fondo
Buon Appetito
Alessandra


filetto di maiale con salsa al bergamotto

mercoledì 4 novembre 2009

Old Fashioned Chestnut Cake- e le mie scuse a Mrs Lawson




chestnut cake

Ok, confesso: ho sognato di essere Nigella Lawson.
La colpa, sia chiaro, è del blog. Prima di farmi venire questa bella idea, infatti, col cavolo che passavo tre quarti del mio tempo libero immersa nelle riviste di cucina o a fare le più strampalate ordinazioni su Amazon o a puntare la sveglia per non perdermi la replica di "dolcemente" o ad aggiungere di giorno in giorno un nuovo barattolo alla mia collezione di spezie. Prima, dicevo, ero abbastanza normale, con una giornata scandita fra famiglia, lavoro, casa ed amici, come succede al 90 per cento delle persone che conosco. E anche i miei sogni erano abbastanza normali, prevedibili creature di un inconscio non ancora turbato dalle inquietudini cromatiche delle Patate Viola o dalle violenze lessicali della Stupendissima. Ma, siccome da qualche tempo, "qualcosa è cambiato", aspettavo che prima o poi quest'orda di ricette invadesse,oltre ai miei giorni, le mie notti- e quando è accaduto, ero, per così dire, pronta all'evento.
E' successo nella notte fra sabato e domenica scorsi, quando, dopo aver chiuso gli occhi sul terzo versetto del libro quatro dell'Enciclopedia della Cucina Curcio, mi sono ritrovata, all'improvviso, in uno spazio bianco e lindo, che altrove si chiama piazza d'armi ma che nel sogno era una cucina: ovunque, elettrodomestici scintillanti, cucchiai appesi in ordine sulle rastrelliere, mariti miracolosamente assenti, ma che si immaginano dietro scrivanie di cristallo a spostar somme vertiginose dalle Cayman al Lussemburgo e ritorno, e figli incredibilmente festosi, puliti ed ordinati, con l'aria di chi non sa cosa significhi nno dico pestarsi a sangue, ma neppure discutere urbanamente col proprio fratello. Una classica scena alla Nigella, per intenderci, con la non lieve differenza che, stavolta, al suo posto, c'ero io: con la maglia a costine, la cofana perfettamente cotonata, lo smalto scintillante e il dito nell'impasto dell'ultima roba voluttuosa che stavo preparando e che ero certa che sarebbe venuta benissimo, alta, soffice e per niente cruda sul fondo. Ed ero così felice e così realizzata e così soddisfatta che non ho sentito la sveglia. Ci sono voluti i garbati smoccolamenti di mio marito, che non riusciva a spegnerla, e i delicati richiami della creatura ("perchè, perchè, PERCHE'''' non mi hai lavato i jeans stretti???) per riportarmi alla brusca realtà. Ma siccome, ve l'ho detto, non son tipa che si arrende, ho deciso che qualcosa in stile Nigella lo avrei dovuto pur fare: e così, ciabatte ai piedi e ranocchie sulla vestaglia, ho aperto la dispensa ed ho osato l'inosabile...

OLD FASHIONED "CHESTNUT" CAKE

chestnut cake

Per la base
Se la desiderate più alta, seguite le indicazione della base della Old Fashioned Originale
Invece, se la volete più bassa, come in questa versione, prendete:
100 g di crema di marroni
100 g di cioccolato ( dal 50% al 70%, dpende da quanto la volete dolce))
100 g di burro
4 uova (tuorli e albumi)
30 g di farina
1/2 cucchiaino di lievito
1 cucchiaio di zucchero

spezzettate il ciocclato, fatelo fondere a bagnomaria con il burro a dadini
Montate i tuorli con lo zucchero e, quando sono spumosi, aggiungetevi la crema di marroni.
Appena il cioccolato e il burro si sono sciolti, toglieteli dal bagnmaria, mescolateli per amalgamarli bene, lasciate leggermente intiepidire e poi versateli sul composto di uova e marroni. Riprendete a montare e, in ultimo, aggiungete la farina setacciata con il lievito.
Amalgamate bene con una spatola
Montate le chiare d'uova a neve, non troppo soda e incorporatele al composto di base. Dopodiche, prendete due tortiere, meglio se a cerniera e di 22 cm di diametro ( la mia era troppo grossa), foderate il fondo con carta da forno e imburrate bene i bordi: poi, versare metà composto in ciascuna di esse e infornare a 180 gradi per una mezz'oretta.
Lasciate raffreddare benissimo prima di sformare, perché l'impasto è molto morbido e se non sono perfettamente fredde corrono il rischio di sbriciolarsi.

Nel frattempo, preparare la Ganache alla Crema di Marroni
200 g di cioccolato fondente
300 g di panna fresca non montata ( potete scendere anche a 250)
200 g di crema di marroni
1 cucchiaino di caffè solubile
1 cucchiaino di rum

Fate fondere il cioccolato a bagnomaria. Quando è perfettamente fuso, aggiungere la panna e mescolare bene con una frusta, in modo da avere un composto abbastanza denso. Unite rum e caffè e fate raffreddare montando con le fruste elettriche. Io ho usato il Ken per una decina di minuti: non preoccupatevi se non monta tantissimo, perché il successivo passaggio in frigo provvederà a farla addensare come si deve. Comunque sia, quando si è raffreddata, aggiungete la crema di marroni e montate ancora un po'.

Assemlaggio del dolce:
Se avete un anello da pasticceria, sarebbe meglio usare quello. Altrimenti, potete sempre servirvi di uno stampo da cerniera: in questo caso, non sformate la torta che dovrà fare da base al dolce.
Fate uno strato di ganache sulla superficie della prima torta e qui fate attenzione: siccome la ganache, in questa fase di lavorazione, è ancora morbida, mettetene poca, al centro del dlce, e allargatela con una spatola, facendo attenzione a non farla trasbordare. Dopodiché, mettete tutto in frigo, torta e ganache.
Dopo circa tre ore, vedrete che la crema si sarà ben rassodata, ma resterà comunque morbida. Lasciatela a temperatura ambiente per una mezz'oretta, poi proseguite con l'assemblaggio:
  • se vedete che la ganache sulla prima torta non è molto alto, spalmate ancora un po' di ganache (io calcolo come max un dito di spessore: se è troppo alto, non regge il peso della seconda torta e della decorazione successiva)
  • coprite con la seconda torta e spatolate la ganache tutta intorno. Regge anche fuori dal frigo, senza problemi.
Decorazione: o così, in purezza, oppure con marron glacèe e zucchero a velo. Se volete prepararla per le feste natalizie, anche una foglia d'ora spezzettata qua e là ci sta bene
Al di là della lunghezza della spiegazione, è facilissima
BuonAppetito

Alessandra






martedì 3 novembre 2009

Caffè Babilonia



Pomegranate Soup è il titolo originario di questo romanzo, tradotto in Italia con un più vago “Caffè Babilonia" che, se ha il merito di attirare più acquirenti, facendo l'occhiolino alla seduzione delle atmosfere da Mille e una Notte, decapita la storia della sua connotazione più specifica, quella che avrebbe automaticamente selezionato il pubblico dei lettori fra amanti della cucina da una parte e resto del mondo dall'altra: perché, al di là delle mille parole che si son spese per promuovere e recensire questo libro, è indubbio che la cucina, e non altro, sia la vera protagonista della vicenda.
Il romanzo narra la storia di tre giovani sorelle iraniane (dall' “intorno ai trent'anni” della maggiore fino ai 15 della minore), costrette a fuggire dalla loro patria al tempo della rivoluzione e trasferitesi dai sobborghi di Londra in un piccolo villaggio dell'Irlanda occidentale, dal solito nome impronunciabile (la grafia è Ballinacroagh, e mi fermo qui) e dalla solita atmosfera da brochure dell'Ente del Turismo, placida, tranquilla, un po' sonnecchiosa. Almeno fino all'arrivo delle tre ragazze e del loro ristorante, quel Caffè Babilonia, per l'appunto, le cui ricette esotiche porteranno scompiglio e turbamento nei ritmi collaudati e rasserenanti di una quiete solo apparente, ma che in realtà nasconde pregiudizi e interessi personali e tutto quanto fa sepolcro imbiancato, per intenderci.
E' ovvio che, dopo aver letto questo riassunto, sul risvolto di copertina, io abbia rapidamente posato il libro sugli scaffali della libreria da dove lo avevo preso. Nel senso che, per quanto rispetto si possa avere per i giovani autori – e l'autrice, Marsha Meheran, lo è- e le loro opere prime – e Caffè Babilonia lo è- si pretende da loro non dico un capolavoro di scrittura e di trama, ma almeno un briciolo di originalità: di spendere 15,50 euro per un romanzo che si annunciava in partenza, come un collage di Chocolate e di Leggere Lolita a Teheran, passando -orrore degli orrori- per La Maga delle Spezie, mi sembrava francamente uno spreco: di tempo, di denaro e di quel che resta del sistema nervoso della sottoscritta.
Una volta messo da parte questo libro, però, mi è caduto l'occhio su quello vicino, il cui titolo mi ispirava di più: “ Pane e Acqua di Rose”, recitava, e tanto è stato il fascino esercitato su una bookaholic come me, che l'ho acquistato su due piedi, senza pensarci troppo su, assaporando, per tutto il pomeriggio, la fine della giornata quando, spento il pc e riempita la lavastoviglie, mi sarei finalmente immersa nelle pagine di questo romanzo.
Che, udite udite, è il seguito di Caffè Babilonia.
Siccome non è mia intenzione rovinarmi tutta la reputazione qui sopra, sorvolo sull'arrabbiatura, gli smoccolamenti, le variegate esternazioni sul “come si fa ad essere così deficienti” riferite alla sottoscritta e passo oltre, a quando, esattamente 24 ore dopo, a pc spento e lavatrice caricata, ma con ben altro spirito rispetto alla sera prima, ho preso in mano la tanto decantata opera prima di Marsha Meheran e ho iniziato la lettura.
Ho smesso tre ore dopo, chiudendo il libro sul Pane all'Uvetta della signora Boylan, incerta se controllare la dispensa e mettermi a panificare all'istante, o leggere subito il seguito, per vedere cosa sarebbe successo dopo: perché, a dispetto delle premesse, questo libro mi è piaciuto, ed anche parecchio.
Sia chiaro: è un'opera che ha un sacco di limiti- nella scrittura, che è lontana dal disinvolto equilibrio che ci si aspetta in un romanzo e che, pertanto, dosando male gli ingredienti, rischia di cadere nell'autocompiacimento, da una parte, e in una sterile superficialità, dall'altra; nei ritratti dei personaggi, alcuni dei quai sono talmente prigionieri di stereotipi da far pensare ai corrispondenti “caratteristi” del cinema di una volta; nella selezione dei contenuti, che sono tanti e tutti importanti e che finiscono quindi per non essere adeguatamente approfonditi. Però, è un romanzo che si legge d'un fiato, sorretto da un buon intreccio narrativo di base e condotto con abilità dall'autrice, attraverso un disvelamento progressivo del passato, da una parte e l'interesse per gli sviluppi della storia nel presente, dall'altra : per cui, chiedendosi ora quale sarà il vero motivo della fuga delle protagoniste e ora se riusciranno a vivere felici e contente nel loro Caffè Babilonia, si arriva alla fine quasi senza accorgersene.
Come già detto, non è un capolavoro e, in tutta onestà, credo che avrei finito per relegarlo nell'affollato dimenticatoio dei libri “così e così”, che pullula di titoli che sai di aver letto, ma di cui ricordi poco o nulla, se non fosse per il posto tutto speciale che la cucina occupa in questa storia: il Caffè Babilonia, con le sue ricette che profumano di case che non ci sono più, di famiglie smembrate, di culture rinnegate, di immensi tesori dispersi nella repressione e nell'ignoranza è, prima di tutto, il segno tangibile della volontà di ricominciare- e di ricominciare dalle proprie radici, trovando nell'orgoglio dell'appartenenza ad un mondo violentato e offeso il coraggio della sfida e del riscatto. I piatti serviti nel ristorante, quindi, non sono un semplice elenco di portate, in puro stile menu del giorno, ma rappresentano, semmai, il riaffermare, sempre nuovo, di una tradizione antica, che, se affossata nel sangue di una distruzione totale, rinasce con forza nella sensualità dei suoi profumi, nel rinnovarsi di gesti millenari, nell'invito ad un dialogo che passa attraverso i modi squisiti di una diversità che si svela con garbo e misura e che trova nell'atto del cucinare l'emblema dell'accoglienza e della comunicazione. In questo senso, allora, Caffè Babilonia diventa un libro da non dimenticare, pur con tutti i limiti che lo contraddistinguono: e se anche per voi la cucina è anzitutto un veicolo di emozioni e sentimenti, un legame con un passato che attraverso di essa resta vivo, lo sfondo che meglio potrebbe far da scenario alla vostra vita, allora questo è un libro che vi piacerà, dalla prima pagina all'ultima.
Alla prossima
Alessandra