venerdì 3 luglio 2009

Nick Hornby- Shakespeare scriveva per soldi

La Dani non me ne voglia, ma se una bella mattina mi svegliassi con a fianco il Genio della Lampada, anzché con il Genio della Critica Sagace et Costruttiva, uno dei tre desideri che esprimerei sarebbe quello di avere Nick Hornby come vicino di casa. Non come fidanzato o marito o mentore, ma proprio come vicino di pianerottolo, quello a cui suoni disperata quando hai bisogno di zucchero, con cui dividi il carico delle borse della spesa e con cui stai a chiacchierare per delle mezz'ore, ciascuno appoggiato sullo stipite della propria porta, perché anche il pianerottolo ha un suo fascino- e se hai la buona sorte di un dirimpettaio simpatico, ancora di più.
E non me ne voglia neppure Nick Hornby se lo svilisco a questo ruolo, dall'alto della sua fama (meritatissima), delle centinaia di migliaia d libri venduti (tutti bellissimi), e delle sceneggiature dei film, delle conferenze, delle recensioni: il fatto è che, al momento, fra tutti gli scrittori in circolazione i cui libri sono transitati da qui, lui è quello che sento più affine, per le cose che dice e per come le dice- e la metafora del vicino di casa è, al momento, quanto di più vicino all'idea di affinità etica e intellettuale e stilistica che ho in questo momento.
Perché, vedete, a noi che siamo stati giovani nei famigerati anni Ottanta, con un'eredità di sogni, speranze e ideali che ci era stata del tutto prosciugata dalle generazioni precedenti, e con un gallo su un piumino e un alberello su una scarpa a farci da modello di vita, non riesce di parlare dei massimi sistemi, proprio per niente. E non perché non li si possieda, sia chiaro: quando ha da distribuire le sue belle mazzate, la vita non sta certo a guardarti la carta d'identità facendoti sconti speciali se sei nato in un'epoca piuttosto che in un'altra. E' solo che a noi, certe cose, non appartengono più e anzi, a dirla tutta un po' ci infastidiscono, e ai toni magniloquenti ed esaltati con cui molti santificano i loro successi, noi preferiamo un divertito distacco, convinti come siamo che qualsiasi cosa ci attenda dietro il prossimo angolo della nostra esistenza, la affronteremo con la misura che ci siamo conquistata, troppo lieve per essere tragica, troppo seria per essere comica, ma che è quella che ci calza a pennello.
Nick Hornby è la traduzione letteraria di quello che ho appena detto: nei suoi libri, infatti, trovate di tutto: dagli aspiranti suicidi alle amanti tradite, dai bambini costretti a crescere troppo in fretta agli adulti che non vogliono crescere mai, dai grandi ideali che si infrangono all'alba ai piccoli traguardi che si ammantano di riscatto e di rivincita. Ma quello che non troverete mai è il tono tragico, enfatico, melenso o scomposto che spesso si accompagna a questi temi, trattati invece con mano leggera, ma sempre sul filo della dignità e del rispetto, propria di chi ha imparato sul campo che ci sono valori che travalicano i tempi e che provare a raccontarli in modo sommesso, garbato ed educato giova più di mille proclami.
tutto questo mi veniva in mente mentre leggevo Shakespeare scriveva per soldi, che è la seconda (e temo ultima) raccolta delle recensioni apparse su una rivista letteraria americana. La prima si intitolava Una vita da lettore e, a mio parere, era molto più bella di questa, che resta, comunque, un ottimo esempio per come si dovrebbe parlare di libri oggi- e cioè, senza rifugiarsi in magniloquismi e artifici da accademia, ma in modo diretto, spiritoso, accattivante. In una parola, simpatico.
Da anni, combatto una crociata personale su questo argomento- e non escludo che la decisione di schiaffare sul blog anche queste "rece" possa essere dipesa dall'esasperazione che mi prende ogni volta che sento parlare di libri dai cosiddetti "organi competenti", dalla scuola alla stampa specializzata, che trasudano di frasi fatte, di periodi ampollosi, di tecnicismi fine a se stessi e di una tale autoreferenzialità che sin dalle prime righe ti accorgi subito che il tizio in questione, anziché del libro, sta parlando di sè.
Hornby, invece, fa l'esatto contrario- ed è qui che sta la sua grandezza: perché lui prende spunto dalla sua vita- che è fatta di figli, di famiglia, di amici, di musica e di calcio- e, a poco a poco, ti porta a parlare del libro che vuol recensire, facendoti vedere come ogni esperienza umana ha voce nelle pagine di un romanzo e come anche le cose che a noi sembrano più banali e quotidiane possono essere, in realtà, un'occasione per riflettere e per guardare al mondo con occhi sempre più "nostri". E - quel che più conta- lo fa in modo ironico, coinvolgente, mai noioso, riuscendo comunque ad infilare perle di saggezza anche nella prosa in apparenza più leggera, confermando, ancora una volta, se mai ce ne fosse bisogno, che una forma senza sostanza non regge e che le fanfare servono solo a riempire il vuoto di chi non ha nulla da dire.
Alla prossima
Alessandra





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